La protagonista dell’ottavo racconto tratto da REALE VIRTUALE – Ritratti di donne nell’era digitale, è una psicoterapeuta che si trova a dover fare i conti con l’insorgere degli attacchi di panico i quali la obbligano a rimettere in discussione la sua vita di coppia e quella professionale. Nell’affrontare tutto ciò, può contare sul supporto della sua migliore amica. La revisione della sua esistenza, però, fa fatica ad affrancarsi dalle maschere che ha indossato da troppi anni. A cominciare da quella sulla sua sessualità. Ed è proprio la repressione della sua vera natura, tenuta al buio per non scandalizzare i benpensanti e per non avere ripercussioni sulla propria professione, a scatenare gli attacchi di panico che ne mineranno la quotidianità, il corpo e l’anima. Attacchi di panico come sintomi, disagio o opportunità?
[...] Lo conoscevo, il panico, in ogni sua manifestazione. Sapevo, sulla carta e sugli altri, come gestirlo senza respingerlo, ma non mi era mai successo di conoscerlo così intimamente. I nostri incontri erano stati sempre piuttosto formali, più volte nel corso della mia carriera di psicoterapeuta, e sempre più frequentemente negli ultimi anni, le nostre strade si erano incrociate. Lui faceva visita, nei tempi e nei modi più disparati, a tanti pazienti che cercavano in me e con me risposte ai propri problemi. Io, ogni volta, lo osservavo da lontano per capirlo e accoglierlo. Solo così, scrivevano e sostenevano gli addetti ai lavori, sarebbe stato possibile andare oltre. [...]
[...] Per la prima volta ero felice, dannatamente felice per il fatto che, da psicoterapeuta, non fossi stata in grado di aiutarla, avevo fallito come dottore. Va bene. Questo, però, mi aveva regalato la possibilità di entrare nella sua vita come amica. Me lo sarei fatto bastare. Riscoprirmi innamorata, di nuovo, di una donna, a quarantatre anni, mi aveva esaltato. Lei aveva esattamente ciò che a me mancava. Era il coraggio, era la forza, era il suo modo irruento e a tratti scanzonato di prendere a morsi la vita e il cancro. Era bella. Una donna di cinquant’anni. Vera, piena, cosciente. Quel suo fare mascolino mi faceva sentire protetta. Al sicuro. Ero abituata, tutti i giorni, a simulare. Lo dovevo ai miei pazienti che venivano da me in cerca di risposte e che, per trovarle, dovevano per forza di cose avere di fronte una persona che non si facesse corrompere dai tranelli del quotidiano. [...]
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