È difficile descrivere l’impressione di certe scene, quando le immagini e i suoni si stagliano nella mente, e il loro ricordo perdura anche quando non abbiamo più motivi di pensarci. Ecco, il film di Kubrick, l’ultimo, discusso Eyes Wide Shut, contiene numerose scene di questo tipo. Su questo film si è scritto molto; ci sono opinioni contrastanti, ma nessuno è riuscito ancora a scioglierne l’enigma. Meglio così. Le multisfacettature identificano l’opera d’arte; di multisfacettature abbiamo disperatamente bisogno, oggi più che mai. La scena che trattiamo si colloca a metà del film. L’affermatissimo dottor Bill Halford (Tom Cruise), incontrando un vecchio amico, viene a sapere che fa l’organista in una casa di ricchi magnati, dove si pratica la prostituzione e si fa libero uso di droghe. È un’occasione troppo ghiotta per lui: da tempo il suo buon nome, il nucleo familiare e la sua vita di coppia non gli arrecano più le soddisfazioni che cerca. Bill è un personaggio in fuga, che si agita nei locali notturni e nelle strade buie alla ricerca di quel brivido che evidentemente gli manca. L’unico appiglio che gli rimane è il pensiero della moglie, che spesso lo trattiene dalle azioni più azzardate. La moglie (Nicole Kidman), invece, trascorre le notti da sola, ma la sua fedeltà è soltanto apparente. Essa compie lo stesso tragitto di Bill, solamente che lo fa attraverso il sogno: nei suoi sogni percorre le tappe che la conducono a una sessualità non più vincolata dai legami coniugali. E’ proprio in questo doppio viaggio verso le parti oscure della nostra sessualità, e quindi della nostra persona, che si sviluppa il film. La scena in cui Bill, mascherato come tutti gli invitati, si reca alla misteriosa villa, rappresenta proprio il cuore di questo percorso. Ciò cui il medico assiste è qualcosa di assolutamente inusuale, diabolico in un certo senso. Gli invitati assistono in cerchio ad uno strano rito, nel quale un sacerdote, anch’esso mascherato, chiama a raccolta le più belle tra le donne. Sono tutte nude, ad eccezione del volto. L’amico di Bill è bendato, seduto davanti ad un organo, ed esegue un’oscura melodia, una specie di mantra ipnotico e cadenzato, accompagnato da una voce gutturale e distorta che pronuncia delle parole incomprensibili. È un tuffo nel profondo, la materializzazione visiva degli impulsi dell’inconscio. Kubrick alterna panoramiche circolari a carrellate orizzontali: in questo modo ottiene una parata sinistra, una successione di immagini inquietanti che incutono paura e ribrezzo. L’identità di questa gente è scomparsa: le maschere – dalle forme più svariate e fantasiose – sono lì a testimoniarlo. Come non ricordare la famosa acquaforte di Goya, Il sonno della ragione genera mostri? Come sempre, con sguardo impietoso ed analitico, Kubrick ha scavato nel profondo, portando alla luce la parte rimossa di noi stessi e della nostra società, così orgogliosamente aggrappata ai suoi valori razionali. Non è possibile edificare nulla, senza scavare nel terreno. Il dottor Bill Halford ha compiuto questo viaggio senza perdersi, riuscendo a tornare a casa incolume come Ulisse. Egli è stato fortunato: il rapporto con la moglie aveva radici più salde di quanto pensasse. L’amore, però, è una pulsione primordiale: sublimata, razionalizzata, essa diviene per noi che viviamo in superficie la famiglia, la casa, la vita di coppia. La fedeltà è però sempre una conquista, una scelta che necessita di essere affermata ogni giorno. Mai trascurare il lato primitivo di questo legame, cioè il sesso, il soddisfacimento di questa pulsione ancestrale. L’amore va agito, e non soltanto dichiarato. La superficie in cui viviamo infatti è una debole pellicola: sotto di essa, vi sono maschere terribili che tentano continuamente di affiorare, che destabilizzano il nostro equilibrio precario. Bisogna, parafrasando il titolo, tenere sempre gli occhi ben aperti. Alla fine, la ricetta di Nicole Kidman è insuperabile: “Scopiamo”, essa dice al marito al momento della riconciliazione. E con queste parole può chiudersi il film.
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È difficile descrivere l’impressione di certe scene, quando le immagini e i suoni si stagliano nella mente, e il loro ricordo perdura anche quando non abbiamo più motivi di pensarci. Ecco, il film di Kubrick, l’ultimo, discusso Eyes Wide Shut, contiene numerose scene di questo tipo. Su questo film si è scritto molto; ci sono opinioni contrastanti, ma nessuno è riuscito ancora a scioglierne l’enigma. Meglio così. Le multisfacettature identificano l’opera d’arte; di multisfacettature abbiamo disperatamente bisogno, oggi più che mai. La scena che trattiamo si colloca a metà del film. L’affermatissimo dottor Bill Halford (Tom Cruise), incontrando un vecchio amico, viene a sapere che fa l’organista in una casa di ricchi magnati, dove si pratica la prostituzione e si fa libero uso di droghe. È un’occasione troppo ghiotta per lui: da tempo il suo buon nome, il nucleo familiare e la sua vita di coppia non gli arrecano più le soddisfazioni che cerca. Bill è un personaggio in fuga, che si agita nei locali notturni e nelle strade buie alla ricerca di quel brivido che evidentemente gli manca. L’unico appiglio che gli rimane è il pensiero della moglie, che spesso lo trattiene dalle azioni più azzardate. La moglie (Nicole Kidman), invece, trascorre le notti da sola, ma la sua fedeltà è soltanto apparente. Essa compie lo stesso tragitto di Bill, solamente che lo fa attraverso il sogno: nei suoi sogni percorre le tappe che la conducono a una sessualità non più vincolata dai legami coniugali. E’ proprio in questo doppio viaggio verso le parti oscure della nostra sessualità, e quindi della nostra persona, che si sviluppa il film. La scena in cui Bill, mascherato come tutti gli invitati, si reca alla misteriosa villa, rappresenta proprio il cuore di questo percorso. Ciò cui il medico assiste è qualcosa di assolutamente inusuale, diabolico in un certo senso. Gli invitati assistono in cerchio ad uno strano rito, nel quale un sacerdote, anch’esso mascherato, chiama a raccolta le più belle tra le donne. Sono tutte nude, ad eccezione del volto. L’amico di Bill è bendato, seduto davanti ad un organo, ed esegue un’oscura melodia, una specie di mantra ipnotico e cadenzato, accompagnato da una voce gutturale e distorta che pronuncia delle parole incomprensibili. È un tuffo nel profondo, la materializzazione visiva degli impulsi dell’inconscio. Kubrick alterna panoramiche circolari a carrellate orizzontali: in questo modo ottiene una parata sinistra, una successione di immagini inquietanti che incutono paura e ribrezzo. L’identità di questa gente è scomparsa: le maschere – dalle forme più svariate e fantasiose – sono lì a testimoniarlo. Come non ricordare la famosa acquaforte di Goya, Il sonno della ragione genera mostri? Come sempre, con sguardo impietoso ed analitico, Kubrick ha scavato nel profondo, portando alla luce la parte rimossa di noi stessi e della nostra società, così orgogliosamente aggrappata ai suoi valori razionali. Non è possibile edificare nulla, senza scavare nel terreno. Il dottor Bill Halford ha compiuto questo viaggio senza perdersi, riuscendo a tornare a casa incolume come Ulisse. Egli è stato fortunato: il rapporto con la moglie aveva radici più salde di quanto pensasse. L’amore, però, è una pulsione primordiale: sublimata, razionalizzata, essa diviene per noi che viviamo in superficie la famiglia, la casa, la vita di coppia. La fedeltà è però sempre una conquista, una scelta che necessita di essere affermata ogni giorno. Mai trascurare il lato primitivo di questo legame, cioè il sesso, il soddisfacimento di questa pulsione ancestrale. L’amore va agito, e non soltanto dichiarato. La superficie in cui viviamo infatti è una debole pellicola: sotto di essa, vi sono maschere terribili che tentano continuamente di affiorare, che destabilizzano il nostro equilibrio precario. Bisogna, parafrasando il titolo, tenere sempre gli occhi ben aperti. Alla fine, la ricetta di Nicole Kidman è insuperabile: “Scopiamo”, essa dice al marito al momento della riconciliazione. E con queste parole può chiudersi il film.
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