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Massacro di schiavi a Prato: il futuro che ci attende

Creato il 02 dicembre 2013 da Albertocapece

120113846incendio-via-incontri-1“Colpisce il silenzio dei sindacati”. Ecco cosa hanno da dire i giornaloni del padronato italiano residuale sulla tragedia di Prato. Quegli stessi sindacati che sono stati esorcizzati per vent’anni anche quando si sono arresi ad una gestione “compassionevole” delle condizioni materiali e sociali del lavoro. Ad una collusione di fatto con le “necessità” imposte dal liberismo. Sembra quasi che sia una loro colpa diretta l’incendio e la morte di sette neo schiavi, tenuti dentro il cartongesso e le inferriate come in un lager. Ma ci vuole pure l’evocazione di un nemico anche fasullo quando si spadroneggia senza quei contrappesi politici che sono essenziali alla democrazia.

Sarebbe invece molto interessante sentire cosa hanno da dire i grandi azionisti dei medesimi giornaloni la cui mentalità e le cui prassi hanno portato al disastro del Paese e anche alla creazione delle anomalie come Prato. Che ci vengano a parlare della loro nota propensione all’investimento produttivo e all’innovazione, ci vengano a raccontare della loro strenua battaglia per imporre controlli fiscali e ambientali, per eliminare il lavoro sommerso, della battaglia per i diritti del lavoro o magari della loro noncuranza vero ilprofitto. Perché se siamo tutti sulla stessa barca, allora vuol dire che siamo su una nave negriera. E viene buono a questo proposito ricordare come la presidente di Confindustria Marcegaglia un anno e mezzo fa, tra gli applausi dei suoi soci, parlava dei lavoratori come di ladri e fannulloni

Ma è stato così semplice approfittare della manodopera a basso costo, prima con le delocalizzazioni nel celeste impero e dintorni, poi importando direttamente i lavoratori a un euro l’ora per 15 ore al giorno, visto che una lunga pratica sottobanco ha reso marginale il pericolo dei controlli, la fase autarchica e casalinga di quella deregulation che gli ultimi governicchi vogliono rendere norma. Perché c’è gente in questo dannato Paese capace di credere che sia la “burocrazia” ad affossare l’economia. O forse semplicemente finge di crederci come alibi alla propria cattiva coscienza.

Certo sono morti solo cinesi e dunque chissefrega, visto che grottescamente agitiamo la nostra inconsapevole xenofobia o facciamo mostra di una incontenibile arretratezza guardando alla Cina con gli stessi occhi di Marco Polo o della rivolta dei Boxer, nel caso di persone particolarmente acculturate. Non ci rendiamo conto della realtà. Forse per questo negli anni ’80 esportavamo verso Pechino i mezzi di produzione, col retro pensiero che mai e poi mai i musi gialli avrebbero potuto farci concorrenza. E adesso quegli stessi esportatori si trovano a fronteggiare prodotti non solo a prezzo inferiore, ma spesso anche di migliore qualità anche se ancora i media ci portano al pascolo con le t shirt e i piccoli tycoon dell’Italia da bere se lo sussurrano tra loro, garantiti dai conti accumulati dei paradisi fiscali .

Tuttavia è vero che spaventa il silenzio o la flebile voce dei sindacati. Perché l’economia di Prato che vive ormai di affitto dei capannoni dove una volta erano gli abitanti della città a lavorare, non è che un’anticipazione di ciò che ci attende: anche il lavoratore italiano starà nel cartongesso e dietro le sbarre e magari al servizio di un padrone cinese che nel frattempo si è arricchito con i suoi schiavi importati. Del resto la svendita salariale, sociale e fiscale ( me quest’ultima volta verso i ricchi)  è ormai la filosofia vincente da Oslo a Lampedusa, con paradisi fiscali di classe e forza lavoro da terzo mondo: la chiamano sfacciatamente e bugiardamente competitività. Interessa il profitto non certo il passaporto o il colore della pelle dello sfruttato. Chi pensa che si tratti di un problema di cinesi non sta capendo nulla e non vorrei che anche i sindacati fingano di non avere il sospetto o l’intuizione che attraverso questo tipo di immigrazione “chiamata” si sta semplicemente imponendo a tutti un’idea di lavoro senza diritti e a bassissimo salario, un ritorno senza freni ai tempi della rivoluzione industriale.

Ma che volete quando dopo vent’anni che si è creata questa realtà il sindaco di Prato rivendica il merito di “aver alzato il velo su questa vergogna radicata a Prato nel silenzio di troppi”, cascano le braccia. Intanto perché semmai il velo l’hanno alzato i disgraziati morti nel rogo e poi per la faccia tosta di farsene anche bello. Saprei io qual è l’uso migliore per questi tipi di veli sollevati, compresi quelli della produzione griffata che viene venduta con un ricarico di cento volte. In realtà i pratesi sono spaventati non dal rogo, ma dal progressivo spostamento di attività dei grossisti cinesi che stanno delocalizzando in altre aree del Paese e particolarmente nel bresciano come avverte uno studio del Cnel (l’ente “inutile” che il mandarino Renzi vorrebbe abolire, cos’è questa tutta questa voglia di sapere, gli è roba da bischeri).  Però non possiamo dire che in Italia ci sono economie locali che già vivono di economia schiavizzata con la complicità di tutti i poteri. Si fa, ma non si dice. Almeno per ora.


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