Massimiliano Damaggio, POESIA COME PIETRA, Edizioni Ensemble 2012
uomini
escono dai buchi della notte
pieni di denti
sigarette
piccole grida
nella notte grande
molto grande
eccessivamente grande
seguono il cammino verso la piazza
lacrimogena
“ascolta, mi dicono, ho perso il lavoro
adesso dormo nei cassonetti
la banca m’ha mangiato un braccio
sono zoppo
non posso più elargire carezze
né calci
p.11
E con una domanda forte sulla funzione della parola e della poesia
cosa può stasera, domani
questa riga, questa penna, questa roba qua
che chiamate poesia?
p.11
Non c’e’ nulla di ieratico in queste descrizioni e anatemi; c’é, piuttosto, un andamento che potrebbe corrispondere a qualcosa di cantato, detto a voce alta. Si delinea, insomma, in questi testi, l’immagine di un poeta che vive la quotidanità e non si mette in testa l’aurea trasparente, tendenza assai diffusa e intrufolata nelle varie correnti che col romanticismo/maledettismo hanno conservato fino ai nostri giorni, senza dichiararlo apertamente, l’idea di una parola incomunicata e incomunicabile, che richiede il suo abito da cerimonia necessario, e dimenticandosi che il romanticismo é stato soprattutto epopea, fenomeno multiforme e persino ambiguo; persino imparentato col popolare.
In questa poesia si avverte la costruzione del clima: la resistenza che, mentre nei poeti “alti” é declinata assai spesso nelle forme di una spoccheria amorosa, qui si chiede apertamente, con domande che tutti possono comprendere: per quale motivo torturarsi a scrivere versi, a segnare la distanza tra la parola del mondo e quella, ben meno responsabile, della poesia.
Tu mi dici: “Io ti dico
che la lingua é potente
perché con essa si può dire di tutto”.
Ma lo vedi da te, solo se scrivi SCONTI!
p.15
C’é del resto, qualcosa di metaforico nella scelta di questo poeta di abbandonare l’ Italia e andare a vivere in Grecia. Egli cita i poeti greci, si riappropria probabilmente da vicino di riferimenti storici che noi utilizziamo ancora in funzione del mito mentre lui li utilizza in funzione della realtà , di una metaforizzazione del contesto sociale e antropico.
Così questo allontanarsi, scrivere a distanza, mette prepotentemente in causa le responsabiltà dei legami storici con la tradizione, non quella dei padri ma quella, ben più degradata, dei fratelli maggiori: con quel clima, cioé, nato a partire dagli anni ’70 che, senza entrare in conflitto con le avanguardie, ha coltivato un proprio hortus conclusus assai prospero ancora oggi, con la conseguenza di un pericoloso indebolimento del potere della parola, ridotta a canto funesto, a immagine di sé che annega, beandosene, nello specchio di un narciso mondo che non la riconosce più.
Sebastiano Aglieco