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Massimo Savastano

Creato il 25 febbraio 2011 da Quattroparole

2° Intervista a cura di Luca Bordini

 

Massimo Savastano
L’impostazione di questo incontro è particolarmente indirizzato al fenomeno mafia nel nostro territorio. Dobbiamo preoccuparci?

Bisogna tenere alta la guardia, soprattutto al nord. Badi che non ho detto nonostante il sud ma soprattutto al nord. La mafia è una multinazionale del crimine, ha sistemi sofisticati con cui si è introdotta nel sistema economico, snaturandolo, perché vizia il principio fondamentale della concorrenza per il quale valga veramente la pena per un imprenditore assumere il rischio economico. La mafia reinveste al nord i proventi illeciti delle proprie attività criminali. Questo vuol dire che se reinveste denaro ad esempio in una attività commerciale, non subirà alcuno scompenso in un momento di crisi economica, mentre un commerciante dello stesso settore sarà costretto a chiudere i battenti. Questa non è concorrenza e non è libero mercato! A riconoscere un fenomeno di tale portata ci è arrivata la Cassazione prima ancora del legislatore, con una sentenza che ha allargato il confine di una norma chiave della legge Rognoni-La Torre, quella a tutela della libertà di mercato. Cosa è stato deciso, in definitiva? Contro l’imprenditore che ha accettato di legarsi alle cosche scatta comunque la concorrenza illecita anche se non c’è stata violenza o minaccia. La Cassazione sta applicando nel proprio ambito di competenze il principio dettato dal Governatore Draghi di regolamentare una globalizzazione che esonda da qualunque tipo di sistema giuridico o normativo. La criminalità globale è il sistema attuato dai mafiosi che hanno approfittato di una situazione che ha avuto come conseguenze la crisi economica di portata mondiale, che tutti ben conosciamo.

Non avendo una “cultura” mafiosa siamo capaci di riconoscere questo modo di pensare e operare o saremo lentamente preda di questo sistema ?

Guardi, la cultura antimafia non è un bagaglio culturale sulla storia della mafia. Si tratta piuttosto di una mentalità che è semplicemente l’educazione alla legalità fatta propria ad ogni ordine e grado e in ogni ambito e settore in cui vive e opera qualsiasi cittadino che sia degno del titolo di cittadino.

Interessante a mio avviso è l’aspetto legato allo sport.  Vorrebbe ribadire  in quale modo alcuni giovani

Massimo Savastano
potrebbero essere  prede di questo sistema?

La mafia cerca di spostare il commercio delle sostanze stupefacenti più costose, perlopiù la cocaina, in ambiti in cui i giovani sono ben remunerati. Le indagini sulla morte di Pantani hanno messo in luce come la mafia abbia tutto l’interesse a fare circolare il doping nelle società sportive per poi fare assumere cocaina ad atleti o giocatori per poter avere rapporti sessuali alla sera, quando si va a festeggiare una vittoria, dato che l’effetto collaterale del doping è l’inibizione sessuale.

La chiesa ha sottolineato l’emergenza educativa e la mancanza di prospettive per i giovani. Lei pensa che le istituzioni religiose sono allarmate dal fenomeno  “la noia del parchetto” come anticamera della mafia?

La chiesa è preoccupata e sta denunciando adeguatamente il fenomeno mafioso. I vescovi italiani hanno chiesto di denunciare i mafiosi senza alcuna esitazione, anche quando si tratta di propri congiunti. Ma non è solo la chiesa che deve farsi carico dell’educazione civica delle persone. Offre orientamenti. Per lo Stato, invece, è un compito fondamentale perché lo Stato che è democratico, che è stato di diritto, nel suo dna è Stato antimafia!

Quali sono le prospettive per un giovane nella nostra società sempre più chiusa e cristallizzata?

Credo che la lotta alla mafia debba essere un movimento culturale che parta dal basso, per dirla con Paolo Borsellino. Bella l’immagine nella canzone vincitrice del festival: per tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro vero, così belli a protestare nelle piazze perché stanno uccidendoci il pensiero! Se i ragazzi si faranno permeare di cultura e idee antimafia, saranno come bombe ad orologerie chiuse in una scatola. Quando deflagreranno, la scatola esploderà e il nostro Paese si ritroverà a non essere più un contenitore chiuso o cristallizzato. Il nostro Paese diverrà allora quella patria per la quale, come ci ricorda Benigni,  sono   morti i nostri padri, cosicché noi vivessimo per la patria. Immagine stupenda che parla da sé!


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