La realtà è naturalmente diversa ( e questo vale anche per tutta l’Europa) dal momento che i nuovi criteri del calcolo del Pil , inaugurati a settembre, portano a un aumento nominale dell’1% del prodotto nazionale e dunque tutte le cifre al di sotto di questo traguardo nascondono una diminuzione reale. Quanto alla disoccupazione il cui calcolo a livelli di decimali è quanto mai ambiguo (figurasi poi come stima ipotetica) è solo un assist statistico politico per non far cadere nella palude dell’insensatezza il job act. E lo stesso può dirsi dell’aumento della produzione, preconizzato da Confindustria nell’ambito di un appoggio senza crepe al renzismo che ha ha portato in dote il regalo della precarietà perpetua. In realtà se tutto questo fosse vero e se fosse onesto ci sarebbe da chiedersi come mai l’aumento del pil e della produzione si traducono in aumenti di occupazione in misura impalpabile, denunciando così il vero stato del Paese e il vero animus delle sue classi dirigenti. Ma trattandosi di pure ipotesi non ne vale davvero la pena.
Vale la pensa invece usare l’evidenziatore sul fatto che i media mainstream, nonostante un decennio di errori clamorosi, continuino a presentare queste “previsioni” come assolutamente realistiche e indiscutibili, quando gli stessi metodi utilizzati per il calcolo, al netto delle forzature politiche nazionali e continentali, sono del tutto inadeguati alla bisogna essendo un riflesso matematico – statistico di tesi e visioni politiche. Non è questa la sede per affrontare a fondo il problema, rimane però evidente il ruolo dell’informazione acritica ed embedded il cui ruolo ancorché decisivo, spesso non è ben chiaro, dal momento che è essa stessa ad imporre un modo di vedere e di affrontare le cose. Essa, in un certo senso, crea la realtà, come avevano preconizzato McLuan ed Eco, assieme a molti altri, in anni ormai lontani.
Prima di affrontare il problema politico è bene prendere atto di questo e vedere la crescita abnorme di ogni tipo di reality che sembrano spettacolarizzare la vita normale, ma in realtà la creano: e questo vale per la coppia di nani pagata per esprimere una realtà inesistente in assenza di telecamere ( e naturalmente edulcorata fino al ridicolo), ai cravattari che comprano a strozzo, alle gare di cucina che vengono falsate in radice o per necessità di audience o per volontà dei giudici o per pressioni degli sponsor pubblicitari senza che il pubblico possa minimamente giudicare manicaretti (si fa per dire) che vengono soltanto visti . L’ultima oscura vicenda di Masterchef italia (già segnata nelle scorse edizioni da opacità di vario tipo) è illuminante : la rivelazione del vincitore da parte di Striscia la Notizia prima della serata finale è la solita schifezza berlusconiana, ma permette di capire che alcuni concorrenti erano tutt’altro che cuochi casalinghi, ma pare avessero fatto esperienze in cucine professionali, che uno dei concorrenti finalisti lavora addirittura presso il ristorante di uno dei giudici, anzi di quello più titolato che fa pagare una cena tagliolini e uova al tegamino quasi 700 euro, ma non disdegna di prendere soldi anche per sponsorizzare le patatine industriali. E che le registrazioni della trasmissione si erano concluse a luglio scorso, quasi sei mesi prima della messa in onda, una bella differita che permette alla fine di intervenire come si vuole sulla gara: una realtà creata non solo nei presupposti, ma nei suoi esiti dagli autori.
Apparentemente non c’entra nulla con il discorso iniziale, ma l’informazione politica ed economica non funziona molto diversamente, anche se rispetto a Masterchef il suo imperativo è mangiar questa minestra o saltar dalla finestra. Il cuoco acchiappa citrulli che si fa pagare a peso d’oro l’uovo rinsecchito ( e fa benissimo) fra il tripudio di gourmand prezzolati che non sanno distinguere il pepe dal peperoncino, non è molto diverso dal job act e dai suoi presupposti le cui registrazioni si sono concluse da anni nei corridoi della Bce e di Bruxelles. Non rimane che convincere che è ottimo.