Si parte da uno schema, che ormai è sempre lo stesso: un bancone, 3 giurati e dei concorrenti. Si chiama talent show, ma nessuno avrebbe mai pensato di assistere ad un contatto ravvicinato fra questo contenitore e il mondo della letteratura: effettivamente ciò non è ancora avvenuto. Domenica 17 novembre, su Rai3 è andata in onda la puntata pilota di Masterpiece, il primo talent letterario al mondo, sbadigliato alle 23.00, un orario che già predispone male il telespettatore nei confronti di quello che la scatola nera sta per offrirgli.
L’idea di partenza è accattivante e si basa sull’obiettivo di scovare la nuova promessa letteraria italiana. 5000 manoscritti sono stati sottoposti al giudizio dei redattori, i quali hanno attuato una scrematura che ha condotto un certo numero di persone per ogni puntata di fronte alla giuria composta da Giancarlo De Cataldo, autore di Romanzo Criminale, nonché Giudice di Corte d’Assise, sceneggiatore televisivo e teatrale, Andrea De Carlo, famoso per aver scritto Due di due, Treno di panna, Villa Metaphora e molti altri romanzi di successo, ed infine Taiye Selasi, colei che è stata definita la nuova promessa della letteratura contemporanea, comparendo fra i venti migliori giovani scrittori britannici secondo la rivista “Granta”, il suo primo romanzo si intitola La bellezza delle cose fragili. Il programma si divide in due parti: la prima è incentrata su sei puntate, durante le quali i giurati selezioneranno i finalisti di Masterpiece, mediante delle prove che testeranno le loro capacità; nella seconda fase, i vincitori delle prime sei puntate, insieme ad un altro gruppo di scrittori, si contenderanno il premio finale, ossia la pubblicazione del loro romanzo da parte della casa editrice Bompiani. Questo è lo scheletro di un programma che nella sua realizzazione sul piccolo schermo non ha il mordente che promette.
Lo studio è stato realizzato in un ex magazzino del centro di produzione Rai di Torino, che non ha nulla che permetta di scorgere un legame con quello che dovrebbe essere il punto focale della trasmissione: il libro. Manca il legno, la carta, i volumi, la poesia, c’è troppa sterilità in un luogo in cui tutto dovrebbe odorare di carta stampata. I giudici siedono dietro una scrivania che si adatta alla circolarità dello studio e da lì accolgono gli aspiranti scrittori, i quali presentano la loro esperienza di vita e si adoperano nella lettura di non più di mezza pagina del loro romanzo. In questo scambio la letteratura esiste soltanto nelle parole dei giudici, i quali citano qualche autore di riferimento, ma non chiedono ai concorrenti quali siano le loro letture, a quale corrente si ispirino o se abbiano mai letto un libro nella loro vita: i concorrenti si limitano a raccontare i loro problemi, la loro realtà problematica, anteponendo se stessi a ciò che scrivono, sicuramente presentandosi così come gli è stato chiesto di fare. Il problema di Masterpiece sta proprio in questo: gli autori sanno cosa funziona in tv e hanno deciso di provarci anche questa volta, perché, si sa, le emozioni, il dolore, gli scandali personali vendono, parlare di libri no. Così un programma dedicato alla scrittura diventa l’esposizione di una fiera di umanità, in cui ci si può anche dimenticare dei romanzi. Quindi si può decidere di sottoporre i concorrenti a delle prove, come portarli in una balera, o in un centro di accoglienza, al fine di condurli a scrivere un racconto legato a quell’esperienza, e di regalarci forse alcune fra le pagine peggiori che siano mai state scritte e lette in pubblico. Il tutto viene gestito dal “coach” Massimo Coppola, fondatore della casa editrice Isbn.Il programma non è totalmente cestinabile, forse perché mentre lo si guarda si pensa a quanto altro si sarebbe potuto fare, per renderlo davvero attraente: il suo punto debole più grande (oltre ad una regia agghiacciante), sta nel fatto che i concorrenti presentano e vengono giudicati per dei romanzi di cui i telespettatori non hanno letto neanche l’incipit, quindi risulta totalmente inesistente la possibilità di esprimere anche solo un parere su ciò di cui si sta parlando; inoltre, l’unica maniera per farsi un’idea sugli aspiranti scrittori è quella di ascoltare i racconti che scrivono durante la puntata (2 su 4 addirittura impossibili da giudicare a causa della loro elementarità e povertà). Sarebbe stato vincente sviluppare il programma come un laboratorio creativo, in cui i concorrenti avrebbero potuto scrivere un romanzo accompagnati dai consigli dei giudici e dai commenti stimolati sui social network, rendendo finalmente la letteratura un fenomeno di aggregazione sociale, di realizzazione creativa, artisticamente viva. Invece no, come sempre ci sono le regole televisive di mezzo, bisogna scegliere a priori il ruolo assunto da ogni giudice (il sentimentale, il cattivo incontentabile, quello diviso fra mente e cuore), inserire l’espediente dell’elevetor pitch, rendere i concorrenti delle scatole piene di problematiche, non più dei possibili scrittori portatori di innovazione. Manca il riferimento alla tecnica, alle strutture, allo stile, sacrificati in nome delle emozioni e dei sentimenti portati avanti come uno stendardo, anche da giudici che normalmente sono fortemente ancorati ai dettami della buona scrittura.
Il problema non sta nella profanazione di un’arte divina, ormai non si può più pretendere di essere al tal punto puristi ed altezzosi, la modernità ci spinge a pretendere una letteratura che ci venga incontro, che permetta anche a chi non è un lettore forte di farsi incuriosire da tutta la potenza che un libro può sprigionare, il vero guaio sta nel non riuscire a fare tutto questo e di conseguenza nel perdere tanto il pubblico degli snob, tanto quello dei talent. Masterpiece, se prosegue imperterrito la strada che sta percorrendo, perderà tanto i lettori di Dostoevskij, Cèline e Flaubert, quanto coloro che non hanno ancora il coraggio di esplorare nella grande letteratura nazionale ed internazionale, tutto ciò a causa di una pessima regia, di momenti sentimentalmente vecchi, di un livello artistico fin troppo basso, e di una montagna ricoperta da chiché. Qualcuno ha scritto che Mastepiece sta cercando di rendere la letteratura un fenomeno pop, ma a nostro avviso il suo scopo è quello puro e semplice di mandare in onda l’ennesimo talent, forse molto meno interessante di quelli dedicati al canto o alla cucina, in cui per lo meno si valutano tecnica ed innovazione: è noto a tutti che in Italia la letteratura e la tv non vanno d’accordo, ma in questo modo la prima apparirà noiosa e perdente anche a coloro che l’avevano nominata propria eroina.
Noi di Temperamente siamo sempre ben predisposte alle iniziative che tentano di dare la parola a libri e agli scrittori, per questo motivo attenderemo le prossime puntate del programma, per continuare a tenere accesa la fiammella della nostra speranza.
Nel frattempo andiamo a leggere un libro.
Glenda Gurrado