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Masterpiece, il talent-show dei “casi letterari”

Creato il 18 novembre 2013 da Alfiobonaccorso
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I tre giurati di Masterpiece: Taye Selasi, Giancarlo De Cataldo e Andrea De Carlo

Quando non c’era ancora Masterpiece, il nuovo talent-show di Rai3 che mira a costruire i “casi letterari” dell’anno, esistevano certo grandi “Giurie della Letteratura” che dicessero la loro sugli autori da inserire in catalogo, pubblicare, rendere famosi, rendere letteratura. Molte di queste hanno fatto cilecca.
Vittorini che non pubblica Tomasi di Lampedusa nei “suoi” Gettoni, Primo Levi che viene respinto da Einaudi due volte, “Lolita” scansato da Garzanti e Bompiani sono solo alcuni dei più celebri errori editoriali (molti dei quali, però, rispondono a politiche editoriali ben precise). Si trattava, sempre, di gente pronta a prendersi personalmente la responsabilità di ciò che pubblicava e che espletava questo ruolo in maniera quasi sacerdotale.
Guardando la prima puntata di Masterpiece, andata in onda ieri in seconda serata, si ha l’impressione che la chiave trovata per rendere appetibile ai più “il discorso letterario” (siamo in ogni caso in seconda serata, quando si potrebbe anche rivolgersi ad un pubblico meno generalista) sia quella di enfatizzare l’aspetto “umano” degli scrittori partecipanti, sino a scomporlo attraverso un prisma caricaturale e grottesco che possa entusiasmare il pubblico (chissà poi perché!).
Quando i concorrenti non presentino caratteri di particolare “originalità”, si assiste alla trita e ritrita messinscena buonista della casalinga o dell’operaia che nonostante i duri sacrifici della vita di tutti i giorni riesce a ritagliarsi un po’ di tempo per scrivere e soddisfare i propri sogni. Il punto però non è essere buoni e solidali, col Natale già alle porte peraltro.
Se mi domandassi, a mo’ di interrogativo retorico, se Madame de Stael o la Trivulzio di Belgioioso o Gertrude Stein accogliessero un simile pittoresco carnevale a discuter di letteratura e arte, verrei etichettato come snob. Dunque fate conto che io non me lo stia domandando.
In Midnight in Paris, film godibilissimo, tutti abbiamo riso della rappresentazione grottesca del virilissimo “uomo tutto d’un pezzo” Ernest Hemingway o del tenebroso allampanato regista surrealista Luis Bunuel, ma Woody Allen sa quando bisogna prendersi poco sul serio, essendo egli serissimo regista, e ci siamo divertiti.
La “Gran Giuria” di Masterpiece composta dagli “scrittori professionisti” Taye Selasi, Giancarlo De Cataldo e Andrea De Carlo, in una rincorsa irrefrenabile di luoghi comuni e sani messaggi edificanti, si mostra allo stesso tempo complice e stizzosa (si sa che essere alteri in tv ripaga, perché la parte del “cattivo” fa audience ammesso che ci sia un contrappunto buonista), a tratti didascalica (siamo sempre sulla tv di stato ed uno scrittore affermato che confessa che prima di leggere un romanzo si scola la bio dell’autore, è ammissibile).
Se i risultati della promozione della letteratura in tv sono questi, lasciateci pure essere un po’ snob!
O forse solo onesti nel giudizio, considerato che Valery insegna che “il vero snob è colui che non osa confessare che s’annoia quando s’annoia e che si diverte quando si diverte”.
Il talent Masterpiece, la cui fortuna nelle prossime puntate non so prevedere, permetterà al vincitore di essere pubblicato dalla Bompiani. Naturalmente facendo nostro l’antico e doveroso adagio di “vinca il migliore”, ci viene in mente quella storiella raccontata da Ennio Flaiano della brava servetta che sognava di fare l’attrice e diventò un’attrice che faceva pessime parti da servetta. Di questi tempi sembrerà un’eresia, ma la visibilità, il palcoscenico, la masquerade in questione, la popolarità, declinata secondo il paradigma che più ci piace, non può bastare. Pater Ennius salvaci tu!


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