Può una mostra che si visita in meno di un'ora definirsi "ricca"?
Senz’altro ricca è “Matisse e il suo tempo” (#matissetorino), bella retrospettiva ospitata a Torino (palazzo Chiablese) fino al 15 maggio 2016, alla quale va riconosciuto il grosso pregio di non isolare «l’ansioso, il follemente ansioso» (così, nei circoli fauve, si sussurrava fosse il suo temperamento) rivale di Picasso nella sua torre d’avorio, inserendolo invece in una rete sapientemente ricostruita di rapporti umani, culturali e pittorici, di ispirazioni comuni e di reciproche influenze.
Esposte, con un’interessante scansione concettuale-temporale in nove sezioni, sono cinquanta opere di Matisse e quasi altrettante di altri artisti (non solo Picasso e Bonnard ma anche Renoir, Modigliani, Miró e non solo), a cura di Cécile Debray, conservatrice del Centre Pompidou.
La selezione dei lavori (dipinti, sculture, tecniche miste, collage) è fatta sulla base di un nucleo appartenente a un fondo storico costituito a partire dagli acquisti di Jean Cassou prima dell’apertura del Musée National d’Art Moderne (1947) e successivamente arricchito da ulteriori acquisizioni da parte del museo e da doni dell’artista e dei suoi eredi.
In questo modo la mostra riesce a restituire il ritratto dell’estroverso capogruppo delle “belve”, e di raccontare le analogie, epidermiche o carsiche, che legano a Matisse un Léger, un Dufy, un Le Corbusier.
Lo fa in maniera, ripetiamo, ricca; lo fa in maniera convincente.
Andrea Donna
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