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Matteo Renzi al Quirinale: due ore di ordinaria ripiccheria italica

Creato il 17 dicembre 2013 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Matteo Renzi al Quirinale: due ore di ordinaria ripiccheria italicaPremessa. Qualche amico non abituato alle nostre tiepide aperture di credito, ci ha detto, scritto e fatto sapere di non gradire la nostra “svolta renziana”. A meno che la demenza senile non abbia iniziato a fare la sua comparsa a nostra insaputa, quello di immaginarci alla corte del Sindaco è un atto di estrema superficialità. Non siamo renziani, non lo saremo mai né ci sogneremmo mai di entrare nel club esclusivo degli scrittori creativi (che è un assurdo in termini). Semplicemente, e lo confermiamo, proviamo una istintiva e innata simpatia per chi propone un sogno, ha una prospettiva a lunga scadenza, non disdegna di viaggiare dalle parti dell'utopia. Sapete, nonostante le primavere, siamo rimasti legati al sogno guevariano di una dignità umana non calpestabile né acquistabile, a una idea di libertà senza se né ma, al valore ineguagliabile di una giustizia sociale giusta, tutto qui, e Matteo, uno sguardo al futuro almeno ha tentato di darlo. Punto. E quanto Renzi ci abbia azzeccato nel formulare le sue teorie per un'Italia diversa, lo si è capito ieri. Come si usa, avvicinandosi il Natale, il presidente della repubblica è solito fare gli auguri alle alte cariche dello Stato, per cui le riunisce tutte nel salone delle feste del Quirinale e indirizza loro il suo messaggio. Di buon'ora, il neoeletto segretario del Pd, si avvia al Colle in compagnia del ministro Del Rio, renziano conclamato. Prima sorpresa, il corazziere di guardia al portone chiede cortesemente al Sindaco di mostrargli l'invito. Non avendolo, Matteo deve farsi garantire dal ministro Del Rio il quale, come si usa per gli imbucati alle feste, dice. “Il signore è con me”. Matteo capisce subito l'aria che tira e ne ha conferma non appena mette piede all'interno del palazzo presidenziale: non se lo fila nessuno. Incontra la Cancellieri: zero. Gelo. Però saluta il suo amico Enrico. Siede in nona fila solo grazie a un posto riservato lasciato libero, visto che il cartellino con su scritto “Renzi” non c'è. Incrocia lo sguardo con la Camusso: zero. Gelo. E pensa: “I sindacalisti fra le alte cariche dello Stato, boh!”. Poi. “Toh, ci sono anche i giornalisti. Ma che c'azzeccano loro con le alte cariche dello Stato? Boh!” Parte il discorso dell'Innominabile e si rende conto di essersi seduto appena dietro Elio Vito e Daniele Capezzone e davanti a Cesa dell'Udc. “Magari c'ho le traveggole”, dice Matteo fra sé e sé. Poco prima aveva scambiato quattro chiacchiere con Fabrizio Saccomanni e salutato affettuosamente Cecile Kyenge, l'unico saluto affettuoso della mattinata. Ascolta attentamente il discorso del presidente poi, invece di accomodarsi al ricco buffet, prende la via d'uscita e se ne va passando dal guardaroba dove incontra, indovinate chi? Angelino Alfano. “So che lei parla solo con Letta”, gli dice Matteo, e il ghiaccio polare dell'incontro, per un momento, si scioglie. Un solo commento finale. Il sindaco di Firenze non rientra (ancora?) nell'elenco dei boiardi di Stato. Se questa non è una buona notizia, almeno ci si avvicina.  

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