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Matteo Renzi, Barbara d'Urso, e un po' di Silvio Berlusconi

Creato il 21 ottobre 2014 da Tafanus

 

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Carmelina Barbara d'Urso e Matteo Renzi - La sagra del lecca-lecca

Lei se lo mangia con gli occhioni, flapflap, miao-miao, un misto di meraviglia e di tenerezza; lui in cravatta e camicia bianca, maniche arrotolate di virile ordinanza, travolge qualsiasi record di tele-piacioneria predatoria, e insieme mettono in scena fra applausi scroscianti un duetto di reciproca soddisfazione che un pochetto allarma perché spontaneo e autentico nell'implicito messaggio e nei suoi immaginabili sviluppi.

Si conclude ovviamente in piena euforia con il giovane premier che, preso ormai il sopravvento, presenta Nino D'Angelo, esprime le sue preferenze musicali e chiama la pubblicità. Lei orgogliosa e premurosa. Quindi si alzano e si danno il bacione.

Poi la vita continua, all'imbrunire, e anche l'autunnale domenica dei telespettatori con le loro malinconie, le loro speranze, le loro allegre, rassegnate o atterrite suggestioni. Una di queste dice, secondo i più ribaditi canoni renziani, che la sinistra, certa sinistra, ha "la puzza sotto il naso". Per cui andare dalla D'Urso, che di nome in realtà è Maria Carmela, è disdicevole.

E invece serve. Ma un'altra più azzardata e complicata suggestione parte proprio da questi spettacoli e attribuendogli profondità psichica, addirittura, e abbondanza di contenuti, dice che il Partito della Nazione non solo sta prendendo il via, ma passa anche per Barbara D'Urso. "Anche" in quanto il giovane leader sta chiaramente facendo il giro delle tv Mediaset e l'esultante incoronazione di Carmelina è certo da mettersi in rapporto con l'entusiasmo manifestato da Porro a "Virus" e con il tripudio di Del Debbio a "Quinta colonna".

Sotto il dominio delle rappresentazioni, assai più che nelle parole il consenso si costruisce attraverso i riflettori, le inquadrature, le musiche, gli applausi, le scritte in sovraimpressione, le immagini che si affacciano dai fondali; ma soprattutto la benedizione definitiva arriva al cuore dei telespettatori dall'atteggiamento di chi dialoga con gli ospiti e mena la danza dell'intrattenimento sulle varie reti. Ogni visibile fusione emotiva in questo senso, reca un segnale che al giorno d'oggi sarebbe sbagliato trascurare.

La modifica della Costituzione, l'attacco simbolico all'articolo 18, le polemiche con la magistratura sulla riforma della giustizia non sembrano avere nulla a che fare con le sdolcinatezze sollecitate al premier da Barbara D'Urso. Su quello stesso trono bianco, nel dicembre del 2012, sedeva Berlusconi, con tutti gli onori del caso, del resto era anche a casa sua. Dopo averlo fatto chiacchierare a suo piacimento e per l'altrui sfinimento, Carmelina ricordò mamma Rosa e con una indimenticabile formula — «Mi si è fidanzato? » — gli chiese ingenua conferma dell'amore per Francesca. Per poi mettere un punto fermo all'apice della gioia: «Che carino! ».

Due anni prima, la sera del compleanno del Cavaliere, gli aveva cantato in diretta "Happy birthday, Mr President". Poco dopo, quando Berlusconi si sentì trattato male da Giletti, trovò ancora il modo di lodare Barbara D'Urso, «che è bella, brava e gentile». Ora Renzi sa il fatto suo, conosce le tecniche del marketing e certamente se le gioca anche sul piano del target e a livello emozionale; ma il fatto che abbia coronato il suo pellegrinaggio televisivo da lei, pure con selfie sbaciucchione e contorno di bonus alle mamme e omaggi alle nonne, in qualche modo sanziona che un certo vasto pubblico lo avverta come il sostituto, il continuatore, il successore, l'erede, il vero figlio evoluto o reincarnato di Berlusconi. È plausibile che Renzi prosegua, almeno sul piano della narrazione, a colpi di ego, sorrisi, storielle, diete, metafore calcistiche, gelati, cerchi o gigli magici, bagni di folla, lanci, rilanci, supporti audiovisivi; è possibile che lasci a tratti anche trapelare quel fondo birbantesco, per non dire vagamente barbarico che accompagna il profilo dei più evoluti capi nell'era del tele-populismo.

Questo eventuale "Partito della Nazione" è una faccenda ancora fuori dalle categorie interpretative della politica, ma forse è proprio tale indeterminatezza a renderlo particolarmente fecondo nella post-politica. Il nome suona in verità un po' sudamericano, ma il modello di applicazione vira piuttosto, almeno a livello dell'immaginario, verso un inedito plebiscitarismo di cui si sarebbe portati a trovare qualche traccia nel recente Putin televisivo. Il partito del leader, frutto di una massiccia convergenza al centro, in una repubblica presidenziale fondata su una democrazia d'investitura. Magari si esagera, ma la versione italiana ha tutta l'aria di germogliare (anche) da spettacoli come quelli di ieri e da figure come Barbara D'Urso. Ci si può ridere, ci si può avvilire, come sempre sarebbe meglio capire, o almeno provarci, possibilmente in serenità (Fonte: Filippo Ceccarelli - Repubblica)

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