di Michele Marsonet. Sta dimostrando tutti i suoi limiti il progetto renziano di fare dei sindaci delle grandi città – e in subordine dei presidenti delle regioni – gli interlocutori privilegiati della sua azione politica. E in effetti molti, incluso chi scrive, non hanno mai capito bene su quali presupposti si basasse la scelta del giovane premier.
Forse perché è stato, lui stesso, sindaco di Firenze? E’ un’ipotesi plausibile. Dalla sua esperienza Matteo Renzi deve aver ricavato l’impressione (o, ancor meglio, la certezza) che i primi cittadini, essendo eletti direttamente dal popolo, siano per questo più attenti e sensibili alle esigenze della gente comune.
A mio avviso è un’illusione, alimentata anche dal sistema delle primarie, sul quale ora vedo che da più parti si cominciano a nutrire dubbi di vario tipo. Tale sistema non garantisce affatto la vittoria del migliore poiché, al contrario, si possono citare parecchi controesempi. Più del contatto diretto con la gente valgono, come sempre, gli accordi tra apparati e le alleanze trasversali.
Senza dimenticare un altro fatto evidente. A causare la vittoria di un candidato ritenuto in partenza debole può contribuire – a volte in maniera decisiva, e soprattutto a sinistra – l’intervento di gruppi di intellettuali che scelgono una certa persona perché incarna al meglio, ai loro occhi, l’incarnazione della politica come essi la concepiscono. E tra tali intellettuali includo pure celebri esponenti del clero cattolico inclini a sposare le tesi più estreme in nome di una lettura alternativa del Vangelo.
E’ però interessante notare che, negli ultimi tempi, il Presidente del consiglio non si è più azzardato a parlare della centralità dei sindaci. Come potrebbe farlo, del resto, guardando a ciò che è avvenuto, e ancora avviene, a Roma, Milano, Genova, Napoli e via dicendo?
Abbiamo una serie nutrita di casi che sono, a dir poco, imbarazzanti. Davvero non si sa a chi attribuire la palma del peggiore. Sino a pochi giorni fa avrei detto che il fondo si era toccato a Napoli, ma ora l’incertezza si fa sempre più grande.
E non va meglio con i presidenti regionali o, per dirla all’americana, con i governatori (termine che a me non piace per niente). Si sono visti addirittura bisticci in diretta tra il premier e alcuni presidenti che rispondevano in modo assai piccato alle sue accuse riguardanti gli abusi edilizi e la scarsa tutela del territorio.
Non sono tra coloro che gettano interamente sulle spalle della politica la responsabilità dei disastri naturali. Mi pare demagogia pura. Tuttavia ci si attendeva maggiore sintonia e “fair play” tra Renzi e i capi delle amministrazioni locali, soprattutto alcuni che hanno contribuito – a volte in modo rilevante – ai suoi successi elettorali.
E’ la fine, dunque, del sogno renziano di scavalcare il cosiddetto “palazzo” facendo ricorso a quelli stanno “sul territorio”, forti di un’investitura popolare diretta?
Mi pare proprio di sì, e non vedo a breve termine la possibilità di un’inversione di marcia. Resta da capire a chi si appellerà ora l’ex sindaco di Firenze. Direttamente al popolo? Difficile, considerate le caratteristiche del nostro sistema politico. D’altronde non sembra che la cosa lo preoccupi più di tanto, a giudicare dal suo perpetuo attivismo sempre abbinato al sorriso.
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