L’azienda dove lavora mio marito ha deciso di fare una donazione all’orfanotrofio di Pattaya e, qualche giorno fa, noi e i bimbi siamo stati invitati a recarci lì per la consegna ufficiale e per una visita alla struttura.
Era la mia prima volta in un orfanotrofio e confesso che, trovandoci in Oriente, il mio immaginario mi faceva pensare ad un ambiente di degrado che mi avrebbe colpito e segnato emotivamente. Non posso dire che l’impatto emotivo non ci sia stato perché amo da sempre i bambini e sono una persona molto sensibile e facilmente commuovibile. Ho fatto gran parte della visita alle stanze dei bambini con gli occhi lucidi, soprattutto in quella dei bimbi sotto i 3 anni e in quella dei neonati che abbiamo, giustamente, potuto vedere solo dal vetro. Ci siamo intrattenuti a lungo a giocare con i bimbi più piccoli. La stanza era molto grande ed arredata solamente dai lettini tutti allineati in più file. In quasi ogni letto un bimbo. Molti dormivano, altri prendevano da soli il biberon, qualcuno era steso ad occhi aperti. Considerando che si trattava di una stanza con circa 30 bambini, c’era davvero molto silenzio ed una strana immobilità.
In pochi minuti mi è apparso chiaro quello che ricordavo di aver letto una volta in un libro sull’infanzia: i bimbi piccoli hanno bisogno di stimoli ed attenzione da parte degli adulti. Se non ne ricevono però non piangono di continuo, ma si adattano alla situazione in cui si trovano per quanto anomala e se ne stanno tranquilli.
Dopo un primo momento in cui nessuno di noi sapeva cosa fare, ci siamo avvicinati ad ogni lettino e quasi tutti i bimbi hanno reagito alzandosi e porgendoci le manine. Hanno cercato subito il contatto fisico. Hanno reagito ad alcuni giochini che gli ho fatto con le dita con grandi sorrisi. Hanno voluto ripetutamente fare “batti 5″ con Carlo Alberto che è stato veramente tenero con loro.
Diego, solitamente molto espansivo con i bimbi e che non vuole mai stare in braccio, è passato alternativamente dalle braccia di suo padre alle mie con l’espressione molto cupa. Come se la sua piccola mente di due anni capisse che quella non era una situazione normale.Nessuno dei bimbi dell’orfanotrofio invece ha mostrato paura o si è messo a piangere come capita a volte ai bambini quando si trovano davanti uno sconosciuto. Io l’ho vissuta al momento come una cosa positiva.
In realtà negli ultimi giorni ho provato interesse a saperne un po’ di più ed ho scoperto che una delle conseguenze di una lunga permanenza in orfanotrofio, è il disturbo dell’attaccamento. In breve, i bambini che non hanno sviluppato nella prima infanzia un attaccamento ad un’unica figura che si è presa cura di loro, cosa purtroppo impossibile da realizzare in un orfanotrofio, sviluppa in seguito problemi di attaccamento. In particolare, reagisce o diffidando di tutti e chiudendosi in se stesso o, all’opposto, non facendo differenza alcuna in termini di attaccamento fra chi si prende abitualmente cura di lui, per esempio il genitore adottivo, e chi è un perfetto sconosciuto. Per questo molti bimbi degli orfanotrofi vanno tranquillamente in braccio a chiunque. Altra conseguenza è un ritardo nella crescita sia emotiva che intellettiva. Meno il bimbo sta in istituto e prima il ritardo viene colmato nella sua nuova vita. Da qui l’importanza che il bambino venga dato in adozione il prima possibile. Esigenza che purtroppo si scontra quasi sempre con la lentezza burocratica.
La responsabile che ci ha accompagnato nella visita ci ha spiegato che i loro bimbi adottabili trovano quasi tutti una famiglia fra i 4 e i 6 anni. Si parla di bambini adottabili perché in Thailandia è possibile dare in adozione solo i bambini che sono stati dichiarati orfani giudizialmente o i cui genitori naturali abbiano dato il consenso all’adozione. Nel caso di bimbi abbandonati di cui non si conoscono le origini è molto difficile quindi ottenere l’adottabilità. Tutti i bimbi non adottati rimangono comunque ospiti della struttura che garantisce loro l’istruzione fino al livello obbligatorio. Chi desidera può andare all’università e l’orfanotrofio si occupa completamente delle spese. Nel salone principale campeggiano le foto incorniciate di tutti i ragazzi che si sono laureati. Tutto ciò senza particolari aiuti statali, ma grazie alla solidarietà di tanti privati ed associazioni.
Dopo la visita alla struttura ci siamo recati in mensa dove abbiamo servito il pranzo, per quel giorno offerto da noi, a tutti i bimbi, compresi i nostri. Un pranzo frugale, riso con aggiunta di un’erba tagliuzzata e qualche pezzetto di carne. Un piatto a testa divorato da tutti con piacere. Impossibile non notare il contrasto con Carlo Alberto che non ha mangiato quasi nulla perché non ama il riso.
Devo dire che ho avuto un’impressione se non di felicità, comunque di serenità e fratellanza. Sono tutti molto educati. Si percepisce che gli viene inculcata una certa disciplina, ma non mancano comunque i sorrisi e la complicità con chi si occupa giornalmente di loro, baby sitter, suore ed insegnanti.Prima di andarcene abbiamo ricevuto in dono tre libri. Leggendoli, nei giorni successivi, ho pianto più volte e mi sono appassionata alla storia di questo orfanotrofio. Non lacrime di tristezza, ma di stupore per quello che una volontà forte può costruire. Di ammirazione per un uomo che ha dedicato quasi tutta la sua vita a questo progetto. Lui è, o meglio era, Padre Raymond Allen Brennan, un prete americano redentorista, arrivato in Thailandia come missionario nel 1961. Si distinse da subito come persona molto attiva nel dare un aiuto pratico alle persone meno abbienti con progetti concreti: una “banca del riso” ed un’implementazione della produzione della seta.
Dopo 10 anni venne trasferito nella parrocchia della Chiesa di St. Nikolaus di Pattaya. Racconta il libro che, una mattina, aprendo il portone della Chiesa, trovò un neonato abbandonato sullo scalino. Non sapendo cosa fare chiese consigli su come occuparsi di lui e lo fece personalmente dandogli il biberon e cambiandogli il pannolino. Quando si diffuse la notizia che il bimbo era stato tenuto dalla parrocchia, tanti altri bambini vennero abbandonati davanti al portone della Chiesa. Era il 1972 con la guerra in Vietnam non ancora conclusa. A causa della presenza della base militare americana a Sattahip, pochi chilometri a sud di Pattaya, quest’ultima era diventata il luogo di ricreazione per i militari. Nacque proprio a quei tempi la fama di Pattaya come luogo di prostituzione. A causa di questo tante ragazze rimasero incinte e si trovarono sole con i loro bimbi una volta che i soldati se ne tornavano in America.
Padre Ray decise di prendere l’iniziativa per risolvere il problema delle tante ragazze e bambini abbandonati. Parlò con un ufficiale americano circa la possibilità di costruire una casa dove ospitarli. L’ufficiale disse che i veterani potevano essere disposti ad edificarla. Insieme, con questo progetto, si recarono dal Vescovo della zona che diede il suo consenso a concedere terreni della Chiesa, dietro alla promessa dei veterani di donare anche una somma consistente per provvedere a sfamare gli ospiti della casa. Padre Ray si impegnò ad occuparsi della struttura volontariamente rivestendo la carica di direttore dal 1974 fino al 2002, poco prima della sua morte.
Durante i primi anni passò le sue giornate andando avanti e indietro per la città cercando di raccogliere soldi negli hotel e nelle case comprando nella stessa giornata, con la cifra raggiunta, il cibo necessario a sfamare i suoi bambini ed alcune delle loro madri. Lo fece finché non ci furono abbastanza donazioni da permettergli di stare fermo negli ultimi anni nel suo ufficio a scrivere lettere di ringraziamento per i benefattori.
L’Orfanotrofio fu solo il primo dei suoi meravigliosi progetti. A seguire fondò tre scuole, una per i sordi, una per i cechi ed una professionale per le persone disabili.
Inoltre costruì una casa di riposo per i rifugiati di guerra e una casa dei bambini. Tutte ancora perfettamente in funzione. Condusse sempre una vita semplice, non prese mai un giorno di ferie, ebbe sempre tempo per ognuno, fu una persona illuminata che riusciva a vedere avanti e capire quale fosse il modo migliore di procedere. Dai racconti di tutti traspare un’ammirazione profonda per lui, come se fosse il padre di tutti. Mi hanno raccontato che il suo ufficio è rimasto com’era e nessuno l’ha più usato e viene fatto visitare come se fosse un museo. I libri e l’orfanotrofio sono pieni di sue immagini. In tutte lui appare sorridente, giocoso e complice dei suoi bambini.Un prete missionario che ha dedicato tutta la sua vita adulta a chi ne aveva bisogno. Dall’orfanotrofio di Pattaya sono passati più di 900 bambini, 500 dei quali sono stati adottati. A tutti è stata garantita la migliore vita possibile: cibo, affetto ed istruzione. Ed anche delle attenzioni particolari. Per esempio i bambini in età scolare vengono mandati in una scuola a diversi chilometri da Pattaya con un autobus vecchissimo e sgangherato per tenerli il più possibile lontano dalla depravazione della città. Dentro all’orfanotrofio studiano inglese e computer.Il libro che ci hanno donato raccoglie anche le lettere degli ex bambini e ragazzi dell’orfanotrofio e sono tutte una più commovente delle altre. Insieme a tante altre belle storie. Quella di Padre Ray principalmente, ma non solo. Quella di una coppia di Thai, lei pediatra e lui anestesista che da 30 anni visitano settimanalmente tutti i bambini gratuitamente. Quella dei ragazzi che si sono laureati, quella di uno degli ex ragazzi che ha voluto celebrare il proprio matrimonio dentro all’orfanotrofio.
Fra i libri ricevuti in dono ce n’è anche uno che raccoglie tante fotografie di momenti di vita dei bambini dell’orfanotrofio. In ogni pagina una frase, un insegnamento. Di personaggi famosi, di persone dell’orfanotrofio e anche di sconosciuti. Accanto una foto dei bimbi legata alla frase. Ve ne riporto alcune:
“Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso” ( Roosevelt ) con accanto una foto di un bimbo che consola un amichetto che piange.
“Se puoi sognarlo, puoi farlo.” (Walt Disney ) con accanto la foto di uno dei ragazzi nel giorno della laurea.
” Vivere non è aspettare che passi il temporale…E’ imparare come danzare nella pioggia.” ( Vivian Greene ) con accanto una foto dei bimbi che giocano sotto la pioggia.
“Le persone sono sole perché costruiscono muri anziché ponti” ( Joseph fort Newton ) con accanto la foto di due bambine che si tengono per mano.
” Ho imparato che le persone dimenticheranno quello che hai detto, dimenticheranno quello che hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come li hai fatti sentire” ( Maya Angelou ) con accanto la foto di un monaco che accarezza un bambino.
“Lui non è pesante, è mio fratello.” ( Song of The Hollies ) con accanto la foto di un ragazzo che porta sulle spalle un bambino.
Quest’ultima immagine è anche il logo dell’Orfanotrofio di Pattaya, ideato da Padre Ray stesso.
Sul loro sito c’è anche una canzone composta per Padre Ray ed intitolata “Tu sei un eroe sconosciuto”Sul sito ci sono anche foto sue con la regina di Olanda, con il re della Thailandia, con Madre Teresa di Calcutta e con il Dalai Lama. Ho digitato il suo nome completo su Google per curiosità e mi sono usciti solo pochissimi articoli relativi all’orfanotrofio ed al suo funerale.
Ho tristemente constatato che è davvero un eroe sconosciuto.
Tutte le foto sono di proprietà del ”Pattaya Orphanage”.
Sito web: http://www.thepattayaorphanage.org/