Mattioli e cuccia

Creato il 12 aprile 2012 da Conflittiestrategie

Il libro di “ Mattioli e Cuccia” di Sandro Gerbi (editore Einaudi, 2011) è una ricostruzione storica  sui due banchieri (del Novecento) fatta dall’autore che ha avuto modo di conoscerli e frequentarli: quarant’anni di ricerche d’archivio sul “banchiere commerciale” e sul “banchiere d’affari”.

Per quanto riguarda Mattioli (1895-1972)  ha guidato la Banca Commerciale Italiana (Comit) ispirandosi al concetto di “interesse generale” con il suo primo abbozzo organico   (Per la regolamentazione dell’economia italiana), concordato con Giuseppe Toeplitz suo capo  (1931), nel pieno della crisi mondiale che stava travolgendo il nostro paese e che affrontava alla radice il problema dell’intervento pubblico in economia; la situazione venne risolta con la creazione dell’Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale) nel ’33 e con il passaggio sotto mano pubblica delle più importanti industrie e banche (Banca Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma).

La Banca Commerciale Italiana era stata fondata nel 1894 dalle grandi banche tedesche. L’Italia era ancora legata all’Austria-Ungheria ed alla Germania attraverso la Triplice Alleanza; già nel 1906 la Comit contava filiali in una trentina di città e si distingueva dalle aziende di credito dell’epoca perché operava soprattutto come banca d’affari, non solo finanziando gli investimenti delle imprese, bensì anche acquisendo partecipazione nelle stesse favorendo l’espansione all’estero, sostenendo le quotazioni  in borsa. Toeplitz (d’origine polacca) aveva preso le redini della banca poco dopo l’ingresso nella guerra 1915-18 e sotto la sua gestione, la banca crebbe al punto da controllare, all’inizio degli anni Trenta un quarto del capitale di tutte le società per azioni italiane. Interi settori dell’economia (industria siderurgica, meccanica, cantieristica….) facevano capo alla Comit che, conquistò importanti posizioni sia in Europa, sia nelle due Americhe.

Con il crollo di Wall Streeet (’29) le principali aziende di credito (Comit, Credito Italiano, Banco di Roma) erano legate a filo doppio alla sorte delle industrie del loro gruppo e per salvaguardarsi le “banche avevano ricomprato praticamente tutto il loro capitale”; ciò le rendeva pericolosamente illiquide. Fu così  che Toeplitz decise di recarsi a Roma per tentare di salvare la Comit. Il 31 ottobre del ’31 aveva luogo una riunione presso la Banca d’Italia, riunione decisiva per la futura sconfitta di Toeplitz.  Parteciparono  oltre a Mattioli, Alberto Beneduce che pur senza avere alcuna carica ufficiale godeva della massima stima di Mussolini in materia finanziaria. Costui fu “durissimo con Toeplitz” che tentava di conservare il proprio impero nonostante la conclamata gravità della propria situazione. Il consigliere di Mussolini era convinto che fosse necessaria una “ rigorosa separazione tra banche e imprese e che competesse allo Stato fissare le grandi linee della politica economica”. Beneduce prevalse, Toeplitz fu  costretto alle dimissioni (’33) e ciò produsse l’effetto dell’avvento dell’era Mattioli.

E’ nota la posizione politica di Mattioli nei confronti del Pci  fin dal ’31, tramite “l’amico fraterno” Sfraffa con “contatti  clandestini” col centro del Partito Comunista, oltre ad aver contribuito alle spese per un lungo ricovero di Gramsci e che, dopo la sua morte, pare abbia fatto salvare i “Quaderni del carcere” tramite Sfraffa. Nell’immediato dopoguerra, ci fu una frequentazione di Mattioli con l’intellettuale cattolico-comunista Rodano e  Togliatti; dopo vari incontri con quest’ultimo nel 1947, il leader comunista chiese a Mattioli di mettere per iscritto il modo di affrontare la crisi: un sistema produttivo in frantumi, spinte inflazionistiche incontrollabili, disoccupazione in aumento, “gli aiuti americani irrinunciabili, ma gravidi di condizionamenti politici”(Piano Marshall) Il terzo ministero di De Gasperi con una partecipazione comunista era caduto, quindi Mattioli accettò di buon grado  una formulazione, sotto forma di lettera a Togliatti, di un programma sintetico di trentatré punti, datato 28 maggio 1947, suggerimenti che andavano a come domare l’inflazione senza fare ricadere la crisi come maggior onere sulla classe operaia, proponendo “un audace miscela di imposte e di stimoli agli investimenti:

“La sana finanza, oggi in Italia -scriveva Mattioli a Togliatti- non è interesse  “reazionario” è un interesse nazionale – di tutta la nazione – e se a qualcuno deve importare più che ad altri è proprio a quei ceti a cui particolarmente il Suo partito si dirige, e che più  devono tenere a che finalmente, dopo i lunghi anni di trattenimenti vari sulla loro pelle, lo Stato sia amministrato in modo tale da tutelare le loro riserve ed esigenze vitali, almeno nella modesta misura in cui la realtà italiana e mondiale lo consente”.

     Come l’apertura nei confronti del Pci di Luigi Longo nel ’71: “ è inutile che si dica che i comunisti hanno possibilità e capacità rivoluzionarie, non ci pensano manco loro, non ne parlano più. Nel senso che questi sono dei riformisti, tanto che vorrebbero cercare in un modo o nell’altro di vedere di partecipare a quello che è il governo e quindi l’amministrazione di questo paese…”

Enrico Cuccia (1907-2000) dopo la breve esperienza nella capitale dell’Etiopia, Adis Abeba (luglio del ’36 fino all’aprile del ’37),  per “instaurare un principio d’ordine nel regime valutario di quell’immenso territorio”; rientrato a Roma, si trasferiva a Milano chiamato da Mattioli alla Banca Commerciale, dove strinse un sodalizio con Ugo La Malfa e con Adolfo Tino che daranno vita al Partito d’Azione nel luglio del ’42.

Nel novembre del ’42 Tino e La Malfa affidarono a Cuccia, in partenza con il Portogallo, un documento da far pervenire al conte Carlo Sforza, futuro ministro degli Esteri nell’Italia liberata. Questi si trovava negli Usa dal luglio del ’40, dove aveva cercato di accreditarsi come il più genuino delle forze democratiche (non comuniste) che si opponevano a Mussolini.

Cuccia ha un ruolo da protagonista nella famosa missione Mattioli del primo governo Bonomi nel novembre del ’44, per illustrare la devastante situazione economica italiana. La missione italiana aveva ricevuto ampio mandato e parteciparono oltre Mattioli, Quinto Quintieri già ministro delle Finanze  nel governo Badoglio; così nei quattro mesi di permanenza in Usa ebbero modo di discutere gli argomenti più vari, con un finale non troppo esaltante, anche se posero le basi per futuri sviluppi dell’azione degli Usa in Italia.

Ma l’episodio più controverso è il sistema di finanziamenti degli alleati alla Resistenza: protagonista assoluto, Enrico Cuccia che tramite Pizzoni (di tendenze liberali) nel ’44  ebbe l’incarico di guidare una delegazione del CLNAI a Roma (con Ferruccio Parri, Giancarlo Paietta ed Edgardo Sogno) per ottenere dagli Alleati una sovvenzione mensile di 160 milioni di lire da destinare alla Resistenza.

Mediobanca fu costituita il 10 aprile 1946 con Cuccia direttore generale. Mattioli entrò un anno più tardi nel ristretto Comitato esecutivo del nuovo istituto e da qui le divergenze con Cuccia. Una lunga querelle tra Mattioli che intendeva Mediobanca essere amministrato nell’interesse delle tre Bin (Banca Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma) che l’hanno costituito  e lo riforniscono dei mezzi necessari alla sua attività. Laddove Cuccia ignora le esigenze delle tre Bin e procede per la propria strada. Tutto nasce dall’interpretazione del concetto di “credito finanziario”, cioè di quel credito a medio termine – cinque anni  nella fattispecie – che era stato inibito alle banche commerciali dalla legge bancaria del ’36 (il divieto cadrà nel 1993).

Questa fu la ricostruzione fatta da Sandro GerBi  su Mattioli e Cuccia risultata incompleta per vari ordini di problemi. La conferma, anzitutto, di una importanza del compito da loro svolto in un clima di “salvezza nazionale” di prima e dopo il fascismo; essi, furono dei  politici “tecnici” al servizio però di una autonomia nazionale, ben lontani perciò dai vari  lacchè odierni al servizio Usa (vedi Monti). Inoltre il trapasso di regime, dal fascismo alla democrazia fu fatto forse con una certa  levità d’analisi; il passaggio più difficile e più complicato  è stato il fatto  che entrambi aderirono all’antifascismo del 25 luglio del ’43 (Badoglio) in una chiave  anticomunista con il Partito D’Azione, come naturale affiliazione americana e massonica. (1)

Dall’immediato dopoguerra,  per la presenza di un partito comunista che faceva da contraltare agli Usa, per il suo noto legame dell’Urss, l’Italia ebbe modo di barcamenare,   su delle “terre di mezzo”,  i propri   interessi nazionali; si ricorda a questo proposito il proseguimento dell’Iri (già costituito)  e potenziato con l’Eni e l’Enel durante tutto il dopoguerra grazie  ad un intero management sopravvissuto al fascismo e che erano ancora in odore di patria.

Dalla metà degli anni ’60 iniziò in Italia un cambio improvviso del tipo di management: una linea di demarcazione storica tende a suddividere un Iri industriale  ad un Iri a  prevalenza finanziaria .C’è  un preciso  segno di inizio  lento ma decisivo sommovimento di una inversione di tendenza del capitalismo italiano, durato  l’intero dopoguerra (venti anni), con la morte del Presidente dell’Iri  Senise: l’ultimo uomo simbolo dell’Iri industriale della scuola dei padri fondatori che aveva ancora nel suo orizzonte ideale, una industria italiana in grado di espandersi in piena autonomia. (2)

Con  la morte di Mattioli (1972) molte cose cambiarono in Italia e per quanto riguarda Cuccia di certo non impedì ma anzi favorì l’evento “mani pulite”. Bisognerebbe indagare sul “Salotto buono” messo in piedi da Cuccia attraverso Mediobanca e su cui convogliò l’intero mondo della Gf&ID (Grande Finanza e Industria Decotta).

(1)   “  Il fascismo se l’è presa con la massoneria relativamente tardi, nel 1925. Ma la lotta è stata estremamente rapida ed è andata direttamente fino alle ultime conseguenze. Il Partito fascista non poteva tollerare l’esistenza della massoneria. Non poteva tollerarla dal momento in cui tendeva a divenire l’unico partito della borghesia italiana…Da questo la massoneria non è più tollerata, suona la sua ora di morte. Tutti gli altri partiti politici devono scomparire.” (Cfr. il ciclo di conferenze il “Corso sugli avversari”, tenuto da P. Togliatti a Mosca tra il gennaio e l’aprile 1935).

(2) si confronti “ I Venti anni che sconvolsero l’Iri”  di Carlo Troilo. I padri fondatori dell’Iri, Beneduce, Menichella, Sinigalia, Reiss Romoli, Mattioli, Rocca, avevano in comune, oltre la caratteristica del manager, quella del “patriota” (quasi tutti ex-combattenti della prima guerra mondiale) che dopo aver militato nei partiti popolari e socialisti, avevano acquisito un alto concetto dei ruoli istituzionali svolti all’interno dello Stato, come onore ad un servizio, che ricorda un po’ gli “Ordini dei Cavalieri” nei confronti dei proprietari feudali.

GIANNI DUCHINI

Aprile 2012


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