Syncope, in scena in questi giorni, a Torino, al Teatro regio, a cura del Béjart Lausanne Ballet e con il coreografo Gil Roman, che lo ha succeduto alla guida della compagnia, propone sulla falsa riga di uno storico titolo del grande Bejart quello che fu “Symphonie pour un homme seul”.
Il tema è quello dell’alienazione di una quotidianità usurata ,della sterilità dell’eros e della crisi della comunicazione.
Profetica anticipazione quella di Bejart rapportata all’oggi.
In chiave parodistica i ballerini rappresentano in palcoscenico scene di esangui e fragili rapporti di coppia.
Il contesto è spersonalizzante e anonimo.
Lei affannata e svilita dalla routine quotidiana, lui è “l’ uomo vuoto”
Persino il walzer di Chopin che la donna, nevrotica,vorrebbe ballare in due , si trasforma in un triste assolo di danza così come le “citypercussions” finali sottolineano egregiamente il meccanismo frenetico in cui ognuno pedala e si affanna per proprio conto.
Ecco allora, come anche il “balletto” e la “grande” musica, in questo caso, rendono bene complessità e alienazione del mondo attuale ma, soprattutto, l’ assenza di gioia dei nostri tempi.
Quella, la gioia, che l’ Africa invece, spesso povera anche dell’essenziale, è capace di esprimere, attraverso la danza,sempre e anche nel più remoto e sperduto villaggio, e nelle più disparate circostanze dell’esistenza.
L’Africa è anche questo. L’Africa è “danza”.
Danza gioiosa in un confronto che è assolutamente impari con l’Occidente.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)