Galleria Rubin | 17-05-17
Iniziamo dal titolo: Landness denota un’astrazione, nella fattispecie un “posto” che non esiste fisicamente ma solo idealmente. Potremmo tradurlo, inventando il corrispettivo neologismo in Italiano, con “terrestrità”.
Sottesa al titolo è dunque la visione di “qualcosa” che sta al di là (o forse in mezzo) fra il naturale e l’extranaturale. Questo non-territorio esiste per modo di dire, cioè “all’interno” di queste opere scelte di Maurizio L’Altrella. Esso rappresenta il”posto” in cui l’artista connota i soggetti dei suoi quadri, un “posto” tutto per loro, la “territà” o “terrestrità”: tu chiamala condizione dello spirito, se vuoi.
I soggetti dipinti da L’Altrella, in massima parte animali ma anche umani, non sono esseri mitologici: inutile quindi scavare nella memoria per cercare di associarli a qualche tradizione culturale. Dipinte in maniera deformata e distorta, queste creature sono essenzialmente simboliche e hanno un valore che trascende l’appartenenza a specifiche civiltà.
Se volessimo rapportarle il più vicino possibile a noi, potremmo dire che queste figure assolvono alla stessa funzione ieratica del sacerdote, termine medio fra terra e cielo, fra divino e terrestre.
O, per svincolare il rimando esplicativo a una cultura troppo specifica, i soggetti di L’Altrella sono come sciamani: questo riferimento religioso all’ “antico”, all’ “altro”, ci è utile perché ci connette immediatamente a una nostra funzione conoscitiva “primitiva” e ancestrale, non scomparsa nel corso dell’evoluzione, ma certamente “nascosta” dalle progressive applicazioni della tecnica e che ci accomuna tutti, animali umani e non umani.
Per il modo in cui L’Altrella costruisce l’immagine, i soggetti raffigurati perdono la propria matericità in alcune parti: sono distorti, offuscati, in alcuni punti fanno addirittura pensare a una struttura molecolare che permea di sé tutti i nessi della materia vivente che abbiamo davanti agli occhi quando guardiamo questi quadri, per cui il territorio (o meglio, il non-territorio) che ci si apre davanti, questo “ambiente” spesso privo d’orizzonte che denota un senso di prossimità in cui succede qualcosa in continuazione, un rapporto fra il qui e l’altrove; questo territorio, si diceva, ci sembra vivo quasi quanto i soggetti che lo abitano. Al punto che esso stesso E’ il soggetto, si fa soggetto, secondo uno rapporto compenetrazione di figura e sfondo, come se tutta la materia fosse intrinsecamente materia in atto, materia vivente.
Abbiamo quindi a che fare con opere composte, non tanto nel senso della composizione dell’immagine, ma nel senso relativo all’equilibrio fra i colori, che denota un non-dissolvimento (come nel termine greco per significare la verità, aletheia (ἀλήθεια),letteralmente non-nascondimento).
Dal punto di vista cromatico, Landness è una mostra “duale”: i toni dominanti sono i marroni e gli azzurri da un lato e i marroni e i rossi dall’altro, il che riporta a zone molto circoscrivibili geograficamente, nordiche nel primo caso e mediterranee nell’altro.
Attraverso questa dualità si dispiega il passaggio artistico, disciplinare, di Maurizio L’Altrella, dal buio alla luce: è il cambiamento della tavolozza, che dai toni scuri delle mostre NERO e Come in cielo così in terra, da me curate (e di quest’ultima, in questa occasione espositiva conserviamo due esemplari) è giunta alla dimensione proteiforme e magmatica delle cromie attuali, rispetto alla quale le opere in mostra rappresentano il passaggio. O, per restare in ambito religioso, il rito di passaggio.