11 aprile 2012 di Denis Michelotti 2 commenti
Bergamasco in azione con la maglia della Nazionale
Mauro Bergamasco, flanker della Nazionale di rugby e, dallo scorso dicembre, della franchigia degli Aironi di Viadana, inaugura al meglio questo blog. Dopo aver trascorso una vita immerso nello sport e nei forti valori che una disciplina come quella del rugby tradizionalmente rappresenta, l’esperto campione si sposa infatti in pieno con la filosofia di nell’anima dello sport: trasmettere, diffondere e allo stesso tempo difendere la positività insita in ogni pratica sportiva. L’azzurro, nell’intervista che segue, racconta quanto lo sport possa essere utile nel processo di formazione di una persona e quanto sia servito a lui per diventare l’uomo che è oggi.
Mauro, dopo otto anni passati in Francia, dove hai vinto anche due campionati con lo Stade Français, cosa ti ha portato a tornare a giocare in Italia?
Devo dire che il mio ritorno in Italia non è stato semplice e immediato. Nell’estate del 2011, per vari motivi, non ho trovato l’accordo per il rinnovo del contratto e, causa anche la particolarità di quella sessione di mercato, condizionata dal fatto che in settembre cominciava la Coppa del Mondo, sono rimasto senza squadra. A quel punto, dopo aver giocato con la Nazionale da svincolato, mi è stata offerta dagli Aironi la possibilità di rimettermi in gioco in un campionato importante come la RaboDirect Pro 12 ed eccomi di nuovo in Italia.
Di nuovo in Italia, dove sei cresciuto e dove hai cominciato a giocare con la palla ovale. Tuo padre è stato un rugbista, tuo fratello è un rugbista, cosa ti hanno trasmesso famiglia e rugby?
Sono la persona che sono oggi grazie a loro. Famiglia e rugby mi hanno trasmesso i valori. Mi hanno insegnato ad essere leale, a mantenere la parola data, a sopportare i momenti di difficoltà. Valori di vita insomma, perché il rugby è uno stile di vita. Ho imparato anche a fare delle scelte e a prendermi la responsabilità di quelle scelte quando si rivelavano sbagliate. Certo, a tutto c’è un prezzo e per il rugby ho dovuto fare anche delle rinunce, ma alla fine è stato uno scambio alla pari: io ho dato tanto al rugby, lui ha dato tanto a me.
Hai parlato di valori, qual è a tuo avviso il valore che manca di più nella società d’oggi?
Senza dubbio la lealtà nei rapporti. Al giorno d’oggi si fa di tutto per raggiungere un obiettivo, si usa ogni stratagemma e poco importa se sia scorretto o meno. Sia chiaro, anche nello sport si lotta per vincere, per prevalere sull’altro, ma lo si fa con lealtà e a fine partita vinti e vincitori si possono guardare tranquillamente negli occhi senza vergognarsi. Nella vita troppo spesso non è così.
Possiamo dunque dire che lo sport può essere un mezzo utile per migliorare la società?
Sicuramente, ma certe cose vanno insegnate ai giovani sin da piccoli e non oralmente. Lo sport deve servire da modello, da esempio. Nel rugby si impara da subito a rispettare l’arbitro, a dialogare e a confrontarsi con gli altri, a portare avanti le proprie idee rispettando quelle diverse dalle proprie, ad essere disciplinati. Certi insegnamenti poi ce li portiamo dietro nella vita di tutti i giorni e chi non impara da ragazzino a non insultare chi sbaglia o a non aggredire qualcuno che fa qualcosa che non condividiamo, è normale che poi avrà questa tendenza anche da adulto.
Aumentare la pratica sportiva nelle scuole sarebbe quindi una buona medicina secondo te?
Nelle scuole lo sport c’è sempre meno, non ne capisco il motivo e perché non si segua il motto mens sana in corpore sano. Credo sia evidente che ogni individuo sia formato sì da una mente, ma anche da un corpo. Gli atleti di alto livello lo sanno bene, ma questa riflessione non riguarda solo loro, riguarda tutti. La carenza di sport nelle scuole è quindi sicuramente penalizzante per la società, ma anche per lo sport stesso.
A tal riguardo hai riscontrato delle differenze con le altre nazioni europee?
Si, però la colpa non è delle istituzioni, è della cultura. All’estero puntano all’equilibrio tra mente e corpo, qui si predilige la mente e lo sport talvolta viene visto addirittura come un antagonista invece che come una risorsa.
E questa tua attenzione all’educazione e alla formazione ti hanno portato poi a fondare il Campus Rugby Mauro Bergamasco…
Si, il Campus Rugby Mauro Bergamasco (qui la pagina Facebook) è un’iniziativa dedicata ai ragazzini fino ai 16 anni e ha come scopo proprio quello di educare divertendosi. I partecipanti vengono seguiti da esperti allenatori e formatori coordinati da mio padre. Avanzare, sostenere, mettere sotto pressione l’avversario, il tutto nel rispetto delle regole e del prossimo: questo è ciò che vorremmo trasmettere. I ragazzi del Campus, che stanno insieme 24 ore su 24, non praticano soltanto rugby. A loro vengono proposte molte altre attività collaterali e giochi pensati appositamente per socializzare. All’iniziativa partecipano poi anche bimbi down che, seguiti da tutor, vengono via via resi autonomi all’interno del Campus e dai quali i normodotati traggono motivo di riflessione e insegnamento.
Per concludere, hai già pensato a cosa farai il giorno in cui smetterai di giocare?
Lo sport è la mia vita, quindi non posso che desiderare di poter continuare a lavorare nello sport e dare una mano a questo mondo. Coltivo comunque altri interessi e possiedo una società, la M2M, che si occupa di produzione di audiovisivi e di licenzing, ma un futuro impiego nello sport, come detto, è ciò che vorrei veramente.
Si ringraziano per la disponibilità Mauro Bergamasco e l’ufficio stampa degli Aironi Rugby
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