Magazine Cultura

Maus di Art Spiegelman

Creato il 07 gennaio 2015 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Leggere non è mai un’azione ripetitiva, la volta successiva in cui ci si immerge in una storia non è mai uguale alla precedente. E io, di natura, sono un’eterna insoddisfatta e piuttosto inconcludente. Sarà forse per queste mie meravigliose doti che, di tanto in tanto, lascio le mie certezze cartacee e mi metto alla ricerca di cose che esulano dal mio spazio di sicurezza, dai recinti che decenni (pochi, non esageriamo) di passione per la lettura mi hanno costruito intorno. Romanzi e racconti, non mi interessa granché se contemporanei o risalenti, soprattutto europei: questo ciò che mi è più congeniale, però… Però i libri offrono così tante possibilità, così tante varianti e variabili da consentire sortite in terre, linguaggi e forme straniere, aliene, sconosciute. Per una come me queste sortite significano valicare gli oceani per incontrare gli americani, o i cinesi, in genere, ma non stavolta.

Stavolta il tuffo verso l’ignoto mi ha portata in un mare di china.

Maus di Art Spiegelman è una graphic novel incentrata sul tema della Shoah, ma non solo. Disegni essenziali, pochi particolari ma egualmente importanti, l’attenzione alla lingua e alla narrazione, oltre che all’impatto visivo, fanno di questo testo un unicum eccezionale.

Spiegelman non è certo stato il primo ad utilizzare la metafora animalista, tuttavia la trasposizione sotto forma di disegno in  una storia a così alto impatto emotivo risulta incredibile. Gli ebrei sono topi con cui giocano, prima di ammazzarli, i gatti nazisti. E i maiali polacchi, le rane francesi, i cani americani. Sono tutti esseri viventi, e per questo dovrebbero essere uguali ma, parafrasando il più grande e conosciuto utilizzatore della metafora di cui sopra in letteratura, alcuni non sono esseri viventi come gli altri.

Art Spiegelman racconta la storia di Vladek e Anja, sua madre e suo padre, attraverso un dialogo con il primo, iniziando dal loro corteggiamento, passando per il matrimonio, la nascita del primo figlio, l’inizio delle leggi razziali, la persecuzione, la fuga, la prigionia, la liberazione e il ricongiungimento, ma non solo. Spiegelman racconta anche il suo difficile rapporto col padre, disegnando al contempo quello che Vladek ha passato ma anche ciò che è diventato oggi; racconta il senso di colpa del sopravvissuto che lo conduce persino alla rivalità col fratello morto e mai conosciuto, la difficoltà del lavoro e le incertezze dell’artista che si misura con l’orrore calato nel quotidiano. Questo stridente contrasto  -ciò che fa soffrire nei campi di prigionia è, ad esempio, anche il fatto di avere scarpe troppo piccole- rende la sua opera diversa e funzionale a raccontare non solo ciò che è accaduto, ma ciò che potrebbe ancora accadere e come tutto ciò si ripercuota, ancora oggi, sulle nuove generazioni.

La forza delle tavole scarne eppure profondamente espressive è accompagnata dalla scelta di lasciare che il linguaggio mantenga tutte le sue peculiarità: nel passato Vladek si esprime correttamente nella sua lingua, quando invece parla al presente è sgrammaticato e tende ad usare termini intraducibili.

Nella traduzione italiana di Cristina Previtali, ben riuscita, si è tentato di lasciare quanto più possibile evidente questa funzionale differenza. Il romanzo a fumetti consta di due capitoli -Mio padre sanguina storia, E qui sono cominciati i miei guai- e, per completarlo, ad Art Spiegelman sono occorsi tredici anni. Anni, come ci racconta lui stesso all’interno della narrazione, di incertezze e dubbi, anni di conversazioni difficili con un padre invadente, razzista, spilorcio, imperfetto. Un sopravvissuto come Anja, ma da lei differente. L’edizione italiana riunisce in un unico volume ambedue i capitoli.

Ho riso qualche volta e pianto molto durante la lettura che, inutile dirlo, è avvenuta quasi tutta in pubblico. Nelle mie traversate sempiterne tra periferia e centro città l’ho portato con me, e ho sbagliato, perché la furia e la foga di finirlo, di leggere, vedere, completare, non mi hanno lasciato il tempo di soffermarmi quanto avrei dovuto su ogni dettaglio. Ma non sono riuscita a fermarmi e, come sempre, mi sono allontanata da quel che avevo attorno. Che mi guardino gli estranei piangere, se lo sanno quelli che mi amano che non ho tutte le rotelle in ordine, mi importa poco lo sappiano loro.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :