«Che uomo era Stirner? – Questa è la domanda che fino ad ora doveva restare senza risposta, perché non si riusciva a trovare alcun testimone per darne una. Stirner non aveva neanche un nemico personale. Poiché in tutta la sua vita non ha espresso alcun giudizio e non ha avuto attriti con nessuno, nessuno ha giudicato lui. Ma, così come non aveva nemici, non aveva neanche amici».
Compiuta nel 1914 dallo scrittore tedesco di origini scozzesi John Henry Mackay, questa ricerca su Max Stirner, lungi dall’essere barbosa come gran parte delle biografie, si trova a metà strada tra un saggio e un romanzo, e in particolare un giallo. Come il miglior Sherlock Holmes, Mackay si arma di taccuino e lente d’ingrandimento per seguire le poche tracce lasciate in vita da una personalità riservata come quella di Stirner, per far luce, con questo volume, su un tassello della storiografia filosofica e nella fattispecie su uno dei primi detrattori dell’hegelismo. Ma rendere intrigante questo volume sono certamente le vicissitudini personali di Stirner e la passione con la quale combatteva per diffondere la sua filosofia. Come scrive Giovanni Feliciani nell’introduzione, «Il suo vero nome era Johann Caspar Schmidt, e lo pseudonimo con cui è ricordato significa grande (max) fronte (stirn). Dalla sua vita se ne potrebbe trarre un film, o uno sceneggiato televisivo, o un’opera teatrale. Me lo auguro». Di quest’oscuro pensatore, morto in circostanze misteriose nel 1856 all’età di cinquant’anni, si conosce tuttavia una sola immagine, uno stilizzato schizzo a matita realizzato da Friedrich Engels, e neanche in linea con le descrizioni fisiche che ci sono pervenute.
Il capitolo più interessante del volume, ad ogni modo, è quello relativo al suo capolavoro: durante la stesura «Stirner non ne parlò mai, non permise a nessuno di vedere e ancor meno di leggere una sola pagina della sua opera, la cui esistenza poteva essere anche una fandonia, e da alcuni veniva già identificata come tale, quando improvvisamente, negli ultimi giorni di ottobre del 1844, venne pubblicata con il titolo L’Unico e la sua proprietà». Stampata in gran segreto dall’editore più coraggioso e radicale del periodo, Otto Wigand di Lipsia, l’opera aggirò il rischio di sequestro e confisca con un astuto stratagemma: mentre ne veniva spedita una copia alla direzione di Lipsia – racconta Mackay – tutte le altre copie venivano consegnate di gran carriera di libraio in libraio, così che nel caso in cui i funzionari avessero deciso di sequestrarla, sarebbero stati lasciati per lo più a mani vuote. E, in effetti, fu proprio così che andò: la direzione di Lipsia ne dispose subito il sequestro, ma soltanto 250 copie caddero nelle sua mani.
Eppure, pochi giorni dopo, inaspettatamente, il sequestro de L’Unico e la sua proprietà venne annullato dal Ministero degli Interni: non perché se ne condividessero le tesi, ma perché il libro fu considerato «troppo assurdo per essere pericoloso». Se i lettori più prevenuti non riuscivano a comprendere come si potessero criticare concetti radicati da secoli come il diritto e la religione, i politici addirittura risero: quale uomo poteva mettere in dubbio che lo Stato fosse necessario?
Ma cos’è che suscitò dapprima scalpore e poi incredulità? Senza dubbio il radicale anarchismo di Max Stirner: a differenza di un rivoluzionario, che mira a cambiare la costituzione vigente, egli intendeva piuttosto annientarla del tutto. Come si legge direttamente dalla sua penna: «Tutto ciò che ho lo devo allo Stato; senza la sua autorizzazione non ho nulla. Ma cos’è, per me che non posseggo nulla, la tutela dello Stato? – La tutela dei privilegiati che mi sfruttano».
Un’altra frase che mi è personalmente saltata all’occhio è stata quella relativa all’utopia, giacché, quando sostiene che «L’utopia è l’irrealizzato, non l’irrealizzabile», Stirner anticipa, di fatto, una tesi del celebre Marxismo e utopia di Ernst Bloch, allorquando questi affermerà che «L’utopia non è fuga nell’irreale; è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione».
Per concludere, Max Stirner. Vita e Opere costituisce senz’altro un volume intrigante, ma se mi si chiede se condivido le tesi dell’anarchico Stirner, la risposta più sensata da dare mi sembra quella che Gilles Deleuze fornì una volta a proposito di Nietzsche, e cioè che «il guaio con la critica di oggi è che ci si schiera spesso contro, riducendo tutto alla propria taglia e alla chiacchiera, quando dinanzi all’opera di un genio non ha alcun senso dire se si è d’accordo o meno: la si può solo ammirare»
Andrea Corona
John Henry Mackay, Max Stirner. Vita e Opere [1914], Bibliosofica Editrice, Roma 2013, 228 pp., 13 euro