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Max: The Curse of Brotherhood – Recensione

Da Videogiochi @ZGiochi
Recensione del 28/12/2013

Cover Max: The Curse of Brotherhood

Xbox 360 - Xbox One Pegi 12 TESTATO SU
XONE

Genere: ,

Sviluppatore: Press Play

Produttore: Microsoft Studios

Distributore: Digital Delivery

Lingua: Inglese (sub ITA)

Giocatori: 1

Data di uscita: 20/12/2013

VISITA LA SCHEDA DI Max: The Curse of Brotherhood

Pro-1Divertente a tratti e adatto a tutti Contro-1L'engine fisico fa cilecca con troppa frequenza

Pro-2Puzzle semplici ma ben congegnati Contro-2Sezioni scriptate poco riuscite e sistema di checkpoint migliorabile

Pro-3Buona rigiocabilità e longevità Contro-3Qualità grafica altalenante

Atteso per gli inizi del 2014 su Xbox One e Xbox 360, Max: The Curse of Brotherhood ha deciso di anticipare i tempi sulla nuova ammiraglia Microsoft, che ha quindi goduto di un nuovo innesto – al momento esclusivo – alla line-up di lancio. Il titolo, sviluppato da Press Play che nel 2012 è stato acquisito dagli studi Microsoft nella cosiddetta formula “light-touch”, grazie alla quale il team di sviluppo stesso è unico responsabile ed ideatore delle IP su cui lavorare, è così giunto qualche giorno prima di Natale su Xbox Live Arcade per Xbox One al prezzo di 14,99 € e ci propone, come già successe in passato, le avventure di Max e del suo pennarello magico, che dovranno affrontare ancora una volta mille peripezie per conseguire lo scopo principale. Quale? Continuate a leggere…

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FRATELLO, MORIRÒ PER SALVARTI!

Come ormai sovente capita nel genere platform, le premesse che danno il via all’azione son semplici e banali. Tornato a casa, il caro Max è scontento del comportamento del fratellino Felix, che seduto a terra nella loro cameretta sta distruggendo delle macchinine per capriccio, finché appare nella stanza un misterioso portale che lo rapisce… Così ha inizio l’avventura di Max, che senza pensarci due volte si metterà sulle tracce del fratellino, gettandosi all’interno del portale da lui stesso creato, per errore, prima della sua chiusura. Il titolo si presenta come un platform/puzzle game in 2.5D ambientato in uno strano modo, pieno di rigogliosa vegetazione, ma anche di deserti e lande desolate; di passaggi immersi in fiumi in piena, buie e spaventose grotte e pericolose alture, disseminate sempre da qualche strana e scontrosa creatura. In quello che sarà un viaggio di una decina di ore all’interno di un mondo fantasy, il piccolo Max sarà chiamato a superare i tanti ostacoli posti dinnanzi al suo cammino facendo uso delle sue abilità e quindi, soprattutto, del suo pennarello magico che gli consentirà di creare, modificare o distruggere, elementi ambientali utili al prosieguo del suo cammino, mentre l’orribile mostro gigante che ha rapito Felix tenta di creare scompiglio ai suoi piani.

Niente di nuovo all’orizzonte, insomma, se teniamo conto del fatto che Max ed il suo pennarello magico non sono alla prima apparizione su TV e schermi: a fasi platform tutt’altro che originali, il team Press Play ha così fornito la variante legata all’utilizzo del pennarello, col quale sarà possibile ergere torri di pietra per scalare rilievi, dare vita a liane grazie alle quali arrampicarsi in alto, o a ceppi di albero da usare come appoggio, e non dimentichiamo le correnti d’acqua utili per il superamento di passaggi ostici o il potere del fuoco grazie al quale sarà possibile distruggere oggetti ed abbattere nemici. Pad in mano – ci teniamo a chiarire che Max: The Curse of Brotherhood è pensato esclusivamente per il gioco tramite controller – le sensazioni riguardanti la precisione dei salti non sono molto buone, rivelandosi infatti spesso imprecisi. A questa sensazione, che nell’avanzare dei livelli che costituiscono i sette mondi di gioco diventerà una evidente ed oggettiva realtà, ci troveremo spesso immischiati in situazioni frenetiche, in vere e proprie sezioni di gioco scriptate, in cui la precisione dei salti e l’utilizzo pratico e veloce del pennarello sarebbero gli unici due elementi su cui poter fare affidamento ad occhi chiusi… Invece, in queste sezioni più che in tante altre meno action e più rilassanti, magari caratterizzate da puzzle un pelino più complicati da risolvere, vengono fuori le magagne tecniche e non solo. Se, quindi, alla scarsa precisione dei salti c’è bisogno di aggiungere anche l’uso del pennarello che poco si presta a sezioni di gioco molto veloci, per una questione meramente di controlli che rendono quasi sempre estremamente difficoltosa la creazione di oggetti in un battito di ciglia, quella che era l’ideologia base di un titolo apparentemente interessante va via via sgretolandosi per la mancanza di attenzione nei dettagli che più di altri lo caratterizzano, o avrebbero dovuto farlo. A peggiorare la situazione c’è un sistema di checkpoint che in queste fasi scriptate non vi darà una mano, anzi, vi costringerà ad iniziare sempre da principio, finché lo spezzone di gioco interessato non sarà portato a compimento. Quest’aspetto – inutile negarlo, ci siam passati anche noi in più d’una circostanza – crea frustrazione; una di quelle frustrazioni che non fanno bene, perché non si è difronte ad un titolo difficile, ma ad uno che lo diventa a causa della scarsa precisione dei comandi, a causa di un gameplay tanto semplice quanto poco funzionale in molti frangenti, a causa di un concept di gioco ben ideato ma realizzato à la meglio, con superficialità. Male. Poco importa se i puzzle concettualmente sono semplici e ai più navigati nel genere richiederanno pochi instanti per la loro risoluzione; così come poco importa se prima di superare un passaggio calmo e tranquillo, senza eventi scriptati ad inseguirci, si muoia ripetutamente a causa di un errore di calcolo nella creazione di questo o quell’altro elemento – effettivamente il videogioco nei momenti di gioco più “rilassanti” fa della formula di gioco del trial and error l’unico comandamento su cui far affidamento – perché in fin dei conti questo Max: The Curse of Brotherhood appare come l’ennesimo platform/puzzle che non funziona molto bene, tanto che arrivare alle fasi conclusive del gioco richiederà tanta pazienza e dose di volontà. La stessa che potreste perdere (quasi) definitivamente nell’ultimo quarto di gioco, o magari nello scontro – leggasi come: scontro ridicolo – finale. Insomma, per una cifra del genere raccomandarlo è molto difficile, tanto che la precedente versione del videogame, approdato su PC, PSN, Nintendo DS e Wii, ma anche su dispositivi mobile, ad oggi rimane la versione più consigliata anche in virtù di un prezzo finale spesso al ribasso, considerata la data d’uscita risalente al 2010.

Ecco, le principali differenze col predecessore sono fornite principalmente dall’aspetto grafico, che in questa versione pensata per Xbox One e Xbox 360 offre un mondo di gioco fantasy più dettagliato, vivo, in un certo senso più vicino alla realtà di quanto non lo fosse quello tutto acquerelloso di Max & The Magic Marker. Piccoli spezzoni humour, fondali ben disegnati ed alcune location suggestive, non riescono però a nascondere la pochezza in termini di textures o il riciclo di elementi di contorno di cui molti livelli fanno sfoggio; avremmo preferito anche una maggior varietà di nemici, che si propongono in sole due varianti più qualche piccola comparsa che non sveleremo, ma soprattutto che alla base di un progetto carino come questo ci fosse stata una fase di testing più sostanziosa; probabilmente sarebbe migliorata la precisione nei salti, sarebbero stati eliminati o sarebbero stati ridotti all’osso i numerosi bug che tuttora investono la creazione e la scalata di oggetti creati tramite pennarello, o quelli che invece si sono legati – speriamo non indissolubilmente – alle sequenze scriptate. Tuttavia, la longevità ed il fattore rigiocabilità sono buoni: per portare a termine il gioco non impiegherete meno di sette ore e la raccolta di due tipologie di collezionabili (75 occhi malvagi e 18 pezzi che compongono uno speciale amuleto) offrono gli giusti spunti per tornare a fare una capatina sul prodotto già portato a termine; sempre che quanto detto sopra non vi abbia costretto e convinto ad abbandonarlo anzitempo. In ambito sonoro aggiungiamo poc’altro, perché a piccole fasi doppiate in Inglese e sottotitolate in Italiano si aggiungono ottimi effetti sonori e qualche buon brano musicale.

Immagine anteprima YouTube IN CONCLUSIONE
Max: The Curse of Brotherhood s'è perso sul più bello. Quando il prodotto di Press Play sembrava stesse prendendo una piega unica ed indimenticabile (superata la prima metà di gioco), ci ha pensato l'ultimo quarto dell'avventura solitaria pensata per Max e fratello a gettare in fumo un sistema di gioco semplice e collaudato negli anni, che però ne mantiene tutti i difetti, aggiungendone anche qualcuno. La semplicità e l'accessibilità con la quale è possibile risolvere i puzzle non è un male per una produzione leggera e divertente come questa, ma se è necessario costruire un modello di gioco solido e stimolante, che faccia un uso importante della fisica, della precisione dei salti e della velocità d'esecuzione col pennarello in mano, allora non ci siamo. Il motore fisico spesso va in stallo, per non parlare dei salti spesso poco precisi e degli evidenti bug che attanagliano alcune manovre spericolate, magari da compiere in sezioni scriptate che fanno aumentare il ritmo del gioco, ma fanno risultare frustrante anche un gioco semplice come questo, causa un sistema di checkpoint rivedibile in molte situazioni. È un peccato perché Max: The Curse of Brotherhood sarebbe potuto diventare, almeno per un po', il miglior titolo disponibile su Xbox One, al momento a corto di videogiochi memorabili; questo però è il prezzo da pagare quando non c'è attenzione nei dettagli, che per giunta manca anche nel comparto tecnico: altalenante, spesso mediocre ed a tratti discreto, che poteva e doveva fare di più. Altrimenti questa next-gen perde senso d'esistere... ZVOTO 6.5
Voto dei lettori6.33
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