Letteralmente. Sto a dieta, cazzo. Da un mese e mezzo. La bilancia fa -4, e siamo ancora ben lungi dal peso forma.
Nel frattempo, mangio poco, scarseggio in carboidrati, mi idrato in abbondanza, cammino che c’ho più chilometri io di una Panda di seconda mano. Posso dirlo? Lo dico. Du’ palle. Ma in technicolor, neh.
Che a me mangiare piace. E infatti, un chilo qua, un chilo là, mi son trovata a +15 (facciamo anche 20, va) e vabbè che sono alta, vabbè che sono tanta, però ancora un po’ e al mio sedere assegnavano un CAP d’ufficio. Perciò son corsa ai ripari.
Che poi, io, sono un donnino sincero, e non mi trincero dietro a scuse pelose. La gravidanza. Mah. Io in gravidanza ho preso 6 chili, e ad un certo punto so’ dimagrita pure. Sarà che mangiavo sano, e in più, non avendo fatto la toxoplasmosi, m’avevano eradicato un buon 50% della mia alimentazione standard. Per cui mica posso addurre la ciccia in eccesso a una gravidanza avvenuta peraltro quattro anni fa. Un po’ di decoro, suvvia.
Ciò detto, ne faccio una questione di principio. S’ha da calare e io calo, ci mancherebbe, che poi è pure tutta salute. Ma la realtà è che una donna, se è chiatta, sul lavoro un poco la schifano. E’ un dato di fatto. E io ne avrei anche un po’ piene le palle di un mondo che mi vuole figa (vabbè nei limiti della mia genetica figaggine che non è immensa, è ovvio), competente e collaborativa. C’è altro? Una fettina di culo, sottile, sottile, da farci un panino?
No, perchè s’informa il gentile spettatore che siamo circondate da colleghi che c’hanno la panza, il doppio mento, quattro peli in testa crocifissi, e nessuno gliele sfranteca. Non voglio le quote rosa. Voglio la par condicio. Non per diventare come loro che non mi sembra ‘sta gran aspirazione. Ma affinchè loro diventino come noi, rendendosi infine conto del gran mazzo che ci facciamo.