L’uso di strategie difensive appartiene alla quotidianità dell’uomo: è difatti possibile affermare che l’essere umano affronti l’eterna antitesi tra istinti, pulsioni, impulsi e l’insieme di proibizioni interne (intrapsichiche) o esterne (ambientali), tramite l’attivazione di processi o fenomeni psichici che spesso sono seguiti da risposte e reazioni comportamentali.
Questa attivazione avviene in modo più o meno automatico, con la predilezione di strategie e condotte differenti, in maniera dipendente dalle caratteristiche di personalità del soggetto; è possibile quindi definire l’output finale di questo processo come “meccanismo di difesa”, cui compito principale è quello di mantenere e garantire l’omeostasi psichica dell’individuo, così che il suo “Io” possa perseverare nei compiti di mediazione e regolazione.
In generale, i meccanismi di difesa possiedono alcune macro-caratteristiche: essi sono spesso “involontari” e “automatici”, tendendo a manifestarsi in seguito alla percezione di stressors o pericoli di natura psichica; essi sono uno strumento con il quale l’individuo si propone di fronteggiare sentimenti e cognizioni ansiose e spiacevoli, nonostante un eccesso di difese, soprattutto se scarsamente strutturate, possa sfociare o integrarsi in un quadro psicopatologico che, tuttavia, è determinato da “reversibilità”. Infine, i meccanismi difensivi risultano imprescindibilmente legati con l’assetto di personalità, in un rapporto di interdipendenza tale per cui essi ne condizionano la strutturazione, venendo a loro volta influenzati da questa.
Da un punto di vista teorico, uno dei primi studiosi a darne riscontro fu, senza dubbio, S. Freud: già agli esordi della sua teoria psicoanalitica, che prese avvio dagli studi sull’isteria condotti con Charcot, prima, e Breuer, poi, l’autore notò l’esistenza di un insieme di operazioni inconsce dedite a preservare la consapevolezza (o coscienza) del soggetto da determinati contenuti di carattere sessuale, aggressivo, distruttivo, considerati come sconvenienti e possibili fonti di disagio psichico: Freud, inizialmente, inscrisse questi processi difensivi nella categoria denominata “rimozione”, nata dall’esigenza dell’istanza dell’Io di perseverare la coscienza e moderare l’influenza di impulsi ed istinti, insieme di spinte pulsionali non soggette a censura e contenute nell’Es. Successivamente, il Padre della psicoanalisi approfondì lo studio di tali meccanismi di difesa, descrivendone e classificandone alcuni cui la “dissociazione”, l’”isolamento” e lo “spostamento”.
Con il susseguirsi dei decenni, molti studiosi e clinici si proposero di indagare il fenomeno, notando come il suo coinvolgimento nella vita umana potesse comportare, alle volte, miglior adattamento o, viceversa, maggior disfunzionalità; in relazione a queste ed altre proprietà, i meccanismi di difesa iniziarono ad essere organizzati secondo un ordine gerarchico, fino alla definitiva teorizzazione di un “modello in gerarchia” per la valutazione delle difese, proposto nel 1994 da Vaillant e Perry: esso si compone di 7 livelli difensivi, legati al diverso “grado di strutturazione”, alla “maturità” della strategia ed alla sua “pervasività”, ricordando tuttavia che il potenziale di disfunzionalità dei meccanismi è dato anche dalla loro “intensità”, dalla “ripetitività” e dall’età in cui si trova il soggetto che li pone in atto (i bambini, ad esempio, tenderanno ad attivare difese meno sofisticate, ma ciò non comporta necessariamente disadattamento patologico).
Le strategie descritte nel modello si snodano lungo i continuum “maturità-immaturità” e “malattia-salute mentale” , risultando fortemente interdipendenti anche rispetto alla personalità dei soggetti ed alla polarità (positiva o negativa) dei loro tratti.
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