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Medaglie e sentenze

Creato il 08 agosto 2012 da Davide

Nonostante la lentezza esasperante della (in)giustizia italiana, la Corte di Cassazione ci mette del suo e delibera su materia che è allo stesso tempo un’inezia e un concetto di grande importanza: l’espressione ‘non hai le palle’ è definita giuridicamente come insulto, non tanto perché mette in dubbio la virilità dell’avversario quanto la sua determinazione e coerenza, “virtù che a torto o a ragione continuano a essere individuate come connotative del genere maschile”.
E’ già grave che i giudici della Cassazione facciano perdere tempo e denaro alla scassata macchina giudiziaria sentenziando su materia che, secondo me, dovrebbe essere giudicata da un arbitro di quartiere, se non di condominio, con multe infime (intorno ai 5 euro da comminare al perdente per pagare le ‘spese’ di giudizio e la sola soddisfazione morale al vincitore), per scoraggiare la litigiosità dei contendenti e impedire l’intasamento dell’asfittica macchina giudiziaria. Ma quello che è davvero grave, in questa sentenza retriva e codina è ben altro. Per chi non ricorda il significato dell’aggettivo ‘codino’ cito da Sergio RomanoI nobili, gli alti funzionari, gli ufficiali dell’ esercito e della marina [nel XVIII secolo, N.d.A.] avevano capelli lunghi, ma raccolti dietro la testa in una piccola treccia, ornata di nastri e fiocchi, che scendeva dalla nuca sino alle spalle. Il codino fu considerato risibile e politicamente scorretto durante la rivoluzione francese, ma riapparve dopo la Restaurazione del 1815 e fu ostentato soprattutto da coloro che volevano manifestare in tal modo il loro attaccamento ai valori della tradizione. «Codino» divenne allora sinonimo di reazionario, retrivo, retrogrado.” (Corriere della Sera, Pag. 35, 17 giugno 2012) .

La sentenza rafforza l’idea che le donne, non avendo le palle, siano il contrario delle virtù maschili che definiscono, cioè incoerenti e poco determinate, deboli di carattere. E’ proprio il momento giusto per una sentenza del genere (ironia della sorte!), quando le grandi medaglie italiane alle Olimpiadi di Londra vengono da sportive che praticano fioretto, tiro e judo. Vale la pena di aggiungere che queste atlete in generale appartengono a corpi armati dello stato, che in paesi arretrati come l’Italia è uno dei pochi modi, se non l’unico, perché gli atleti non professionisti in generale e le donne in particolare, possono fare carriera (altro che università come in America!). Così la sentenza fa a pugni con la realtà femminile in Italia e si allinea ideologicamente con i grandi balzi all’indietro dei paesi del Nordafrica, come la Tunisia, dove l’inferiorità della donna è stata messa dentro la nuova costituzione scaturita dalla ‘primavera’ araba. Primavera dei codini, ma gelido inverno per le donne.
Ma c’è un altro grave problema: la sentenza dà valore di legge e di precedente legale a una classica opinione di biologia popolare, legata all’evolversi della lingua e del costume. Come ragiona la biologia popolare è ben spiegato dall’antropologa americana Karen Blu (The Lumbee Problem. Cambridge University Press 1980), quando parla delle idee sul ‘sangue’ nel Sud degli USA. Ma è nelle idee popolari di biologia che il dogma razziale è inserito più profondamente. Il ‘sangue’ è il mezzo mistico che trasferisce da genitore a figlio caratteristiche fisiche e le qualità morali, intellettuali e psicologiche ad esse collegate. Queste idee non sono state apprezzabilmente influenzate dalle prove scientifiche, dalla moderna genetica alla biologia evolutiva.(…) Se il ‘sangue’ può portare con sé capacità mentali, senso morale e carattere insieme alle caratteristiche fisiche, può essere valutato come migliore o peggiore quando le qualità e le caratteristiche che porta sono giudicate. (…) Il sangue nero inquina in modo assoluto il sangue bianco … mentre d’altra parte il sangue bianco tende a migliorare il sangue nero, se non, oggi, a purificarlo interamente” (pp. 24-25).
La stessa logica si applica alle idee di biologia popolare riguardanti due ghiandole facenti parte dell’apparato riproduttivo maschile, i testicoli, noti nella parlata familiare come ‘palle’. Le idee sul sangue e sulla riproduzione umana influenzano le nozioni di coraggio, determinazione e coerenza connesse all’avere le palle oppure no. Infatti, secondo la biologia popolare rinforzata dal cristianesimo in Europa, la donna è il ‘vaso’ e il sangue/seme la impregna fino a creare il feto da un grumo di sangue iniziale, nozioni pescate da Aristotele e Plinio il vecchio. L’ideologia cristiana peraltro condivideva, soprattutto a livello di religiosità popolare, concetti di biologia assai diffusi in tutto il mondo presso molte popolazioni pre- o proto-industriali.
La Cassazione dona il mantello della legge a concetti di biologia popolare, risalenti almeno al Neolitico e totalmente demolite dalla scienza, riguardanti caratteristiche morali viste come positive e apprezzabili attribuite a ghiandole riproduttive maschili, tanto che l’accusa di essere privo delle suddette ghiandole è un insulto perché si equipara l’essere senza testicoli all’essere privo delle suddette qualità desiderabili. A fortiori la stessa Cassazione, quindi, definisce chi, per motivi biologici, ha le ovaie e non le ‘palle’, come portatore di qualità e caratteristiche morali indesiderabili e offensive. Dove sta la differenza tra questa sentenza e quelle che definiscono che una sola goccia di sangue nero o ebreo inquina quello bianco o ariano? D’altronde non è che si siano visti tanti giudici che abbiano rifiutato di applicare le leggi razziali nel secolo scorso, mentre se ne sono visti a frotte pronti emanare sentenze sessiste.


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