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Media e minori: il gioco virtuale modifica il nostro cervello e crea dipendenza

Da Simonetta Frongia

Media e minori: il gioco virtuale modifica il nostro cervello e crea dipendenza Mondi virtuali e giochi di ruolo. Consolle o semplicemente la tastiera di un personal computer possono diventare una “droga”. E modificare il cervello degli appassionati che giocano regolarmente, portando a delle differenze con chi invece è indifferente alla seduzione degli universi virtuali.
A rivelarlo è uno studio internazionale condotto tra gli adolescenti, che ha mostrato il ruolo fondamentale di un “centro di ricompensa” nel cervello, già coinvolto nelle dipendenze. Una zona cerebrale più sviluppata in chi gioca ai videogame in modo regolare. Il rapporto è stato pubblicato sulla rivista Translational Psychiatry.
Secondo i ricercatori sembra molto plausibile che «stare ai videogiochi per una mezza giornata a settimana potrebbe effettivamente cambiare la struttura del cervello. Questi risultati - avvertono gli scienziati - sono molto importanti per la pratica clinica in quanto potrebbero aiutare a colmare le lacune scientifiche tra il gioco compulsivo e altre dipendenze, dandoci una migliore comprensione dei possibili interventi a lungo termine nei trattamenti».
Lo studio ha esaminato 154 adolescenti di 14 anni. Chi stava davanti al computer nove ore alla settimana è stato classificato dai ricercatori come giocatore “regolare”, oltre si diventava giocatori “intensivi”. Nessuno dei giovani è stato indicato come “dipendente” dal gioco.
Le scansioni del cervello dei partecipanti hanno mostrato un corpo striato ventrale più grande nei giocatori “regolari”: «Si tratta del fulcro del sistema di ricompensa del cervello», spiega Luke Clark, del Department of experimental psychology dell’University of Cambridge (GB). Secondo lo studio questa zona «di solito si attiva quando le persone recepiscono degli effetti ambientali positivi o delle esperienze molto gratificanti. Un processo - precisano - simile però a quello di chi è tossicodipendente». 
http://www.nature.com/tp/journal/v1/n11/full/tp201153a.html 

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