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Media e scienza: quando le scorciatoie diventano scivoloni

Creato il 14 aprile 2014 da Giovanniboaga
Capita che sui quotidiani italiani si tenda a preferire un linguaggio sensazionalista alla comunicazione precisa e completa

Media e scienza: quando le scorciatoie diventano scivoloni

Scott e Mark Kelly

Al riparo dai buontemponi che ogni primo di aprile ci allietano con qualche scherzo ben confezionato, anche tra le pagine dei giornali, nessuno ha certo pensato male quando si è imbattuto nell’articolo apparso sabato 12 aprile sul prestigioso inserto de La Stampa dedicato alla ricerca scientifica. Nella versione on line del quotidiano, nella sezione Tuttoscienze, un titolo faceva bella mostra di sé: «Due astronauti gemelli. La relatività di Einstein alla prova della Nasa».
Qualcuno più malizioso avrà certo pensato alla iattura rappresentata dai titolisti dei giornali che spesso e volentieri danno sfoggio di fantasia, assecondando più la necessità di catturare il lettore che di fornire un’idea, seppure stringatissima, del contenuto dell’articolo. Bene lo sanno i giornalisti e benissimo quelli che si occupano di scienza: la sobrietà lascia sovente il posto a titoli che hanno più il sapore di Voyager (o di Kazzenger) che di Le Scienze.
Ma anche quei navigati dell’informazione scientifica saranno caduti nella trappola del titolo a effetto, un po’ perché sicuri di trovare nell’articolo tutt’altro, magari qualche notizia interessante, e un po’ perché comunque la curiosità può giocare brutti scherzi, soprattutto quella scientifica. E il loro stupore sarà stato grande leggendo l’incipit dell’articolo: «La Nasa ha finalmente a disposizione quello che le era sempre mancato per dimostrare la teoria della relatività di Einstein: due astronauti fratelli gemelli».

Media e scienza: quando le scorciatoie diventano scivoloni

Scott e Mark Kelly

Allora si parla proprio di questo, della verifica sperimentale del celebre paradosso dei gemelli, cioè del risultato di un esperimento mentale utile a mettere in luce un aspetto poco intuitivo della teoria einsteniana, la relatività delle misure di tempo. Per quanto sbigottito, nessuno si sarà sottratto alla lettura del pezzo, apprendendo che Scott Kelly, uno dei due astronauti gemelli, sarà ospitato nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per una missione di un anno, mentre l’altro fratello, Mark, attenderà il suo ritorno qui sulla Terra, sicuramente ansioso di vedersi davanti un fratello più giovane. Sempre che Einstein abbia ragione, il viaggio di Scott alla velocità di 27000 chilometri orari comporterà un rallentamento degli orologi solidali con la ISS, il tempo a bordo scorrerà più lentamente che sul nostro pianeta e «Alla fine della missione i gemelli si riuniranno, e la Nasa dovrà in sostanza accertare se sono ancora identici».

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Stazione Spaziale Internazionale (ISS)

Ce ne sarebbe abbastanza per chiudere il computer e andare a fare una passeggiata. Già perché la roboante cifra di 27000 chilometri orari rappresenta una velocità insignificante in ambito relativistico, corrispondendo a soli 7,5 chilometri al secondo, lontanissimi dai 300000 della velocità della luce. Ed essendo solamente oggetti che si muovono a velocità prossime a quelle della luce a manifestare evidenti segni di contrazione dei tempi (come di dilatazione delle lunghezze, altro effetto relativistico) non si capisce perché la Nasa dovrebbe spendere milioni di dollari per realizzare un esperimento che non verificherebbe nulla: conti alla mano la differenza di età tra i due gemelli, dopo un anno di missione, ammonterebbe alla ragguardevole cifra di quasi un centesimo di secondo! Senza tenere conto del fatto che nessuno aspettava certo il verificarsi della singolare combinazione di avere a disposizione due astronauti gemelli, come recita l’inizio dell’articolo, per avere conferma della dilatazione dei tempi. La misura del decadimento dei muoni negli acceleratori di particelle o l’osservazione dell’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre, per fare due esempi, forniscono già da tempo prove sperimentali di questi fenomeni.
Se però la tentazione di abbandonare l’impresa non avrà avuto la meglio, dopo aver letto più della metà dell’articolo dedicato alla relatività e alla sua verifica sperimentale riusciremo finalmente ad avere la notizia, quella vera. E tireremo un sospiro di sollievo nell’accertarci che alla Nasa non hanno ancora perso il senso della realtà. Nelle ultime righe, infatti, scopriremo in che cosa la missione consisterà veramente, grazie alle parole di uno dei responsabili: «Per la prima volta faremo esperimenti su due individui che sono geneticamente identici e li studieremo a fondo, dal livello biomolecolare a quello psicologico». Insomma nulla che abbia minimamente a che vedere con relatività e paradosso dei gemelli. Sistema immunitario, visione, digestione e altri interessanti argomenti di ricerca ma niente che scomodi Einstein e le sue teorie e la sola notizia che poteva essere collegata, in qualche modo, al titolo e a gran parte dell’articolo, perché relativa all’invecchiamento, anche quella riesce ad essere in contraddizione con quanto scritto in precedenza. Una delle ricerche previste, infatti, riguarda lo studio dei telomeri, quelle parti terminali dei cromosomi il cui accorciamento, ad ogni ciclo replicativo, è associato all’invecchiamento cellulare e già si sa che, in situazioni come quelle vissute dal gemello in volo, le misure daranno risultati tali da evidenziare un invecchiamento maggiore rispetto al fratello a terra, più consistente e misurabile del centesimo di secondo di ringiovanimento dovuto alla dilatazione dei tempi.

Media e scienza: quando le scorciatoie diventano scivoloni

Michelangelo Merisi da Caravaggio, I bari, 1594


Tutto questo può far sorridere perché si dirà che, tutto sommato, la confusione su argomenti come questi non è poi così grave e che alla fine qualcosa è stato trasmesso, anche se con metodo da imbonitore di piazza. Ma a parte il fatto che un inserto scientifico dovrebbe contribuire a fare chiarezza, soprattutto in un giornale prestigioso come quello in questione che normalmente fa ottima divulgazione come nel caso Stamina, accontentarsi di un’informazione scientifica di questo tipo pensando che trasmetta qualcosa di utile non è accettabile. Assomiglia un po’ al gioco delle tre carte dove si fa vedere quella buona per poi nasconderla opportunamente e fare in modo che ne venga scelta un’altra. Senza contare che la carta presentata per ultima, la notizia reale, avrebbe consentito un approfondimento di argomenti non meno interessanti e soprattutto veri, non come la fantomatica verifica sperimentale che nessuno si sognerebbe di condurre in quel modo. Carta vince, carta perde!
Un problema di ignoranza? No di certo, visto che l’autore del pezzo sembra essere ben consapevole che gli effetti relativistici non sono misurabili a basse velocità, come quelle coinvolte, e che la dilatazione dei tempi è stata già ampiamente verificata per altra via. Il problema quindi è di metodo e ben altre potrebbero essere le conseguenze di un’informazione confusionaria come questa se invece di paradossi fisici si parlasse di medicina. Si tratta di un salto di qualità nel modo di fare informazione scientifica sui giornali. Non basta presentare titoli che non hanno attinenza con la notizia, è necessario scrivere anche buona parte dell’articolo in linea con quei titoli, tanto fantasiosi quanto utili alle vendite (e Einstein torna sempre utile a questo scopo), per poi relegare la notizia a poche righe finali.
Tutto questo è accattivante? Una volta catturato il lettore cosa gli si somministra se non una buona dose di confusione e la sensazione di essere stato preso per il naso? Eppure in rete o nella stampa tradizionale, tra tanto ciarpame, ci sono esempi di divulgazione ben fatta, tutt’altro che noiosa, alla quale ispirarsi. È proprio difficile cercare di trasmettere anche solo un’idea, una notizia, con precisione, completezza e semplicità? No, non è difficile, ma in quel caso si tratterebbe di divulgazione scientifica.
pubblicato suCronache Laiche
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