C’è un dibattito aperto sulla possibilità di attuare anche in Italia, com’è avvenuto in altri Paesi, forme di reddito garantito. Alcuni parlano di "reddito minimo garantito", altri di "reddito di cittadinanza". Questa ultima formula (piú costosa) é una delle bandiere innalzate dal movimento "5 stelle". Enrico Letta, il nuovo leader del “governissimo”, ha risposto promettendo un reddito minimo ma riservato solo a famiglie bisognose con figli. Una scelta, ribadita ieri dal viceministro alle Politiche Sociali Cecilia Guerra e che comporterebbe, secondo i primi calcoli, un costo pari a dieci miliardi.
I sindacati in generale non hanno mai sposato proposte di questo tipo, salvo la Fiom-Cgil che per la manifestazione a Roma del 18 maggio propone, tra gli altri ambiziosi obiettivi, proprio il cosiddetto "reddito di cittadinanza". Lo scarso entusiasmo di Cgil, Cisl e Uil per queste forme di sostegno finanziario non deriva solo, come qualcuno ha scritto, dal fatto che una simile impostazione ridurrebbe il potere contrattuale dei sindacati delegando a un dispositivo di legge una tutela dei lavoratori. Ben altre motivazioni sono state avanzate, nel passato, ad esempio, da un dirigente sindacale scomparso, Bruno Trentin. Nel suo libro “Lavoro e libertà nell’Italia che cambia” (Donzelli editore) scriveva: “Non ho mai condiviso le ricorrenti proposte di istituire un reddito minimo garantito, totalmente scollegato dalla quantità e qualità del lavoro”. Tali proposte, ricordava “Hanno portato a esperimenti di esclusione e ghettizzazione dei lavoratori disoccupati”.
Sarebbe meglio, insomma, riuscire a garantire alle persone il lavoro e i suoi diritti, più che il salario, se si considera il lavoro fonte d’identità e libertà. E, certo, garantendo, nello stesso tempo, forme di sostegno sicure ma transitorie a chi perde il lavoro. C’è in Europa, del resto, una proposta, diretta in modo principale ai giovani, che porta appunto il titolo “Youth Guarantee”, Garanzia Giovani. E’ la proposta di un percorso capace di impedire che l’esercito delle nuove generazioni che bussano invano alle porte dei sistemi produttivi, cadano nello scoramento, affollando le schiere dei Neet (dall'inglese Not in Education, Employment or Training), giovani che non lavorano e non studiano. Magari intenti a battersi per avere almeno qualche mancia attraverso il famoso reddito garantito. Il progetto è stato approvato lo scorso 28 febbraio dal Consiglio europeo e tradotto in una “raccomandazione” a tutti gli Stati membri. Esso dice: "Garantire che tutti i giovani di età inferiore a 25 anni ricevano un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio entro un periodo di quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale". Alcune misure simili sono state adottate, informa "Rassegna sindacale" (www.rassegna.it), in Francia, Irlanda e Regno Unito. Ora, sostiene la Cgil, anche il nostro Paese "deve istituire rapidamente tale proposta con una legge quadro nazionale. L'incertezza politica in cui versiamo non può farci perdere anche questa occasione".
I diversi Stati saranno sostenuti, per questa scelta, con i fondi del quadro strategico comune della Unione europea. Inoltre per le zone il cui tasso di disoccupazione giovanile supera il 25%, sono stati stanziati 6 miliardi di euro. Chi sarà beneficiato da tale intervento? Un documento della Cgil pubblicato sul sito “Giovani non più disposti a tutto” spiega come i più colpiti dalla crisi siano oggi i giovani “che non dispongono della copertura di un welfare familiare”. Chiamano questo sistema “Ereditalia”, ovverosia “un Paese ingessato, nel quale le fortune ereditate dalla famiglia di origine, siano esse beni, relazioni, professione o impresa, rendono ogni giovane socialmente predestinato”. E ancora: “Avere una famiglia benestante alle spalle offre un bagaglio di relazioni e conoscenze e consente al giovane o alla giovane di attendere il lavoro migliore, senza dover accettare il primo impiego che capita”. Il documento sindacale analizza poi i diversi aspetti (limiti di età, servizi all’impiego) onde tradurre nella realtà italiana le caratteristiche della “garanzia”.
La proposta è stata elaborata, con il contributo di un nutrito gruppo di ricercatori e ricercatrici. Tra questi Alessandro Rosina (demografo, Università Cattolica di Milano, autore di “Non è un paese per giovani”), Martina Di Simplicio (ricercatrice, Fonderia Oxford), Paola Ricciardi (architetta, Associazione Iva Sei partita), Andrea Garnero (economista, Université Libre de Bruxelles, collaboratore Spazio della Politica) e molti altri.
Farà strada la “Youth Guarantee”? C’è da aggiungere che lo stesso Enrico Letta parlando di una “generazione perduta” ha citato anche la strada europea tracciata dal Youth Guarantee. É stata però una promessa, contenuta all'interno di molte altre aspirazioni, non precisate in impegni concreti. E la presenza, nella compagine governativa, di tante, diverse culture e sensibilità, non fa molto ben sperare. A meno che questo nostro Paese sia miracolosamente riuscito a superare, col nuovo governo, come qualcuno crede e spera, la presenza di schieramenti e di programmi di destra e di sinistra, incompatibili. Solo una seria mobilitazione popolare potrebbe, in tale contesto, costringere ciascuno a scoprire le proprie carte, portare chiarezza.