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Mekong Hotel

Creato il 02 gennaio 2013 da Eraserhead
Mekong HotelCome tutta la cinematografia di Apichatpong Weerasethakul anche Mekong Hotel (2012) è un film brulicante di fantasmi. Due anni dopo il capolavoro crossmediale Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti il massimo regista thailandese, nonché uno dei massimi registi tout court, partorisce quella che potrebbe essere definita un’opera minore, appendice eterea di un film mai concluso, parentesi breve (giriamo intorno ai sessanta minuti) e ovviamente impenetrabile da mente occidentale. Ambientato sulla sponda thai dell’immenso fiume Mekong che nasce in Tibet e sfocia sulle coste vietnamite, il film evapora ed automaticamente sfugge nel concentrarsi su scorci inessenziali (o apparentemente tali) dove i tre personaggi in scena discutono tra di loro su argomenti di varia natura. Se inizialmente Weerasethakul procede seguendo una linea narrativa quasi intelligibile, ancor prima di arrivare a metà strada la pellicola si stacca da terra e inizia a viaggiare nei tipici labirinti dell’autore originario di Bangkok. In questo tragitto sono riconoscibili le tematiche che hanno contraddistinto da sempre la carriera di Weerasethakul: balza all’attenzione spettatoriale l’apertura al mito, alla tradizione popolare (il Pob) [1], elementi atavici che disarmano per la Verità con cui vengono accettati e trattati da chi sta sullo schermo, eppure allo stesso tempo Mekong Hotel sa parlare di attualità: tra le pieghe di una storia dai confini sempre più sfumati che tangono la dimensione onirica, la Thailandia al di fuori dell’hotel deve fare i conti con un’inondazione che il governo non riesce a fronteggiare in modo efficace (il riferimento è presumibilmente l’alluvione che colpì il Paese nell’ottobre del 2011), inoltre non vengono risparmiati cenni politici ai vicini laotiani che stanno dall’altra parte del fiume e a degli addestramenti bellici raccontati dalla madre che riportano a galla il frastuono di conflitti mai dimenticati.
La per-nulla-immediata commestibilità del cinema di Weerasethakul non deve portare ad un automatico scoraggiamento, assistere ad ogni sua nuova manifestazione artistica è come penetrare in un mondo ignoto e Mekong Hotel continua a scorrere in quel magico sentiero, iniziato nel 2000 con Mysterious Object at Noon, dove il costante pizzichio di una chitarra è sufficiente a mitigare qualunque stasi e a trasformare un albergo come tanti in un tempio sospeso per anime viandanti che (si) sognano (in) altre esistenze._______[1] Non va scordato che Weerasethakul è il padre di un’opera etnico-culturale come The Adventures of Iron Pussy (2003), pastiche musicale che celebra un preciso tipo di cinema legato inestricabilmente alla nazione di appartenenza.

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