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Mekong: il prezzo della modernità

Creato il 12 gennaio 2015 da Pietro Acquistapace

Il Laos è un paese lontano, ai più quasi sconosciuto. Tuttavia quello che sta accadendo in quel remoto angolo d’Asia ha molto da insegnare, soprattutto per le vicende che stanno interessando il più grande fiume d’Indocina, vale a dire il Mekong. In quel paese si sta distruggendo un ecosistema in nome del benessere, attraverso la costruzione di dighe e centrali idroelettriche. In più ci sono organismi internazionali impotenti e voci non ascoltate, dando un senso di già visto a ciò che sta andando in scena in quella parte di Sud-Est asiatico. A ricordarcelo un documentario girato da Tom Fawthrop, giornalista inglese di nascita ed asiatico di adozione.

È stato infatti recentemente presentato Great Gamble on the Mekong, l’ultima fatica di Fawthrop, che nel 2010 aveva realizzato Killing the Mekong un altro documentario (vedi il trailer sopra)  sul tema dello sfruttamento del fiume per la produzione di energia elettrica. Come abbiamo già scritto su questo blog il Laos ha deciso di proseguire con la realizzazione di un contestato progetto, ossia la diga di Don Sahong. La nuova diga si aggiunge a quella di Xayaburi, mentre sono ben dieci le ulteriori in corso di progettazione. La sola Cina ha già realizzato sei dighe sul corso superiore del Mekong e ne vorrebbe costruire altre quattordici, sembrano numeri sufficienti per allarmarsi su quello che sarà il futuro di questo fiume.

Le autorità laotiane sostengono che il sistema di dighe per la produzione di energia porterà progresso e crescita economica, riducendo l’instabilità dovuta ai periodi di piena o di siccità del fiume. Vengono poi citate la creazione di posti di lavoro e la riduzione dell’emissione di gas inquinanti. Tutte parole d’ordine che lasciano intravedere come l’ideologia del progresso abbia ormai contagiato anche questa parte di Asia, innestandola su di un pianeta globalizzato, dove alla crescita si accompagna la lotta per mantenerla, in uno stato sempre più opposto a quello di entropia. In ogni caso chi ha il diritto di negare ad un paese di svilupparsi anche a costo di modificare profondamente il suo habitat?

Forse gli organismi internazionali, ma perlomeno sul Mekong questi hanno praticamente fallito. Stiamo parlando della Mekong River Commission (MRC) nata proprio per una gestione comune delle problematiche legate al Mekong. Nonostante un accordo del 1995, il Mekong Agreement, che richiamava alla cooperazione tra i vari paesi aderenti, il Laos si è dichiarato nel giusto ed ha affidato la gestione dei progetti delle dighe a due compagnie straniere: la finlandese Poyry e la malese MegaFirst. Un fronte di esperti e di associazioni chiede da più parti che si fermino i lavori, in attesa degli esiti dei test relativi alla sostenibilità ambientale delle opere in costruzione, ma senza successo.

La questione sta diventando un caso internazionale, con Vietnam, Cambogia e Thailandia sempre più allarmati. Le proteste si fanno sempre più forti, ma la comunità internazionale, Nazioni Unite comprese, non proferisce parola, se non per invitare i paesi meno industrializzati a rinunciare alla loro crescita in nome della salvaguardia ambientale del pianeta: un certo modello di progresso non può che essere esclusivo. Questa vicenda insegna due cose ben precise e molto importanti: che le basi stesse su cui si regge il consorzio sociale vanno ripensate e che l’acqua sarà un fortissimo elemento di scontro nel futuro prossimo venturo, come già sta accadendo in diverse parti del mondo.

Per un approfondimento del tema, critiche al documentario comprese, si legga questo articolo.

Un’intervista a Fawthrop disponibile qui (solo audio).


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