László Kraznahorkai è il (difficile per noi pigri italiani) nome di quello che possiamo definire, senza tema di smentita, il maggiore autore ungherese vivente e Melancolia della resistenza, edito Zandonai, è probabilmente il suo capolavoro.
Da questo libro, pubblicato in Ungheria già nel 1989, è stato tratto il film culto Le armonie di Werkmeister (2000), del regista Bèla Tarr e sceneggiato dallo stesso Kraznahorkai, con cui lo stesso ha avuto un lungo sodalizio artistico, firmando anche il più famoso Sátántangó (1994).
Quando tutto sta andando già abbastanza male, saper cogliere i decisivi segnali della fine è questione di complicati dettagli. In un tranquillo e ghiacciato paesino ungherese l’apocalisse entra in scena sotto forma di circo bislacco avente come sua più grande attrazione una balena morta. Questo è l’evento che rende lapalissiano a tutta la comunità – quella ancora pensante – che la fine è vicina. Il libro inizia con uno spiacevolissimo e degradante, per la protagonista, la perbenissima sig.ra Pflaum, episodio su di un treno notturno che arriva in città nella più completa e straniante desolazione e silenzio (una città morta?). Di capitolo in capitolo, la voce narrante passa a diversi abitanti a cui l’autore sceglie, sapientemente, di far dirigere le regole della narrazione; poco alla volta, davanti agli occhi degli esterefatti personaggi e del divertito lettore (e vi dirò poi perché “divertiti”) si configura un disfacimento totale e irreversibile della società tutta, che vuol esser messo a posto dal nazifascista movimento dell’Ordine e della Pulizia… In questa decadenza, l’unica anima davvero pura che riusciamo si incontra è Valuska, il mezzo scemo del villaggio, con l’ossessione per il sistema solare e supporto del vecchio genio della musica Eszter, tra i personaggi che più di tutti incarna quella resistenza malinconica, quel volersi oppore al male senza sapere bene in che modo, quel senso di non-arresa che però attivamente non fa nulla, quella ardente, ma passiva, speranza di sottrarsi all’ineluttabile.
La storia, come si può intuire, non è effettivamente delle più allegre; eppure mai mi sognerei di definire questo libro come “triste” e forse neanche “malinconico”. Gli occhi divertiti del lettore, come dicevo poche righe sopra, leggono di questa caduta nella devastazione morale e umana della cittadina con lo sguardo sornione di Kraznahorkai, uno sguardo che scopre tutte le piccolezze quotidiane dell’umano, comprese le menischeri e i magheggi per futili giochi di potere; uno sguardo che riesce a mostrare placidamente anche l’orrore. Dietro la banda di criminali sovversivi che mira a impossessarsi della città e il nuovo ordine che se ne vuole impadronire con la forza, non è difficile riconoscere una stilizzazione delle peggiori dittature comuniste, conquistando al libro anche il merito, quindi, di riproporre in chiave meta fiabesca un verosimigliante resoconto di nefandezze non troppo lontane nella storia.
Azzurra Scattarella
László Kraznahorkai, Melancolia della resistenza, Zandonai, 2013, € 18