La disastrosa conduzione dell’Ulivo, grazie a una coalizione troppo eterogenea composta da ben quattordici partiti, vide dopo meno di due anni la caduta del secondo Prodi. Infatti, il 24 gennaio 2008 il governo fu sfiduciato per l’abbandono dell’Udeur di Mastella, investito dalle indagini sulla moglie per concussione ad opera della procura di Santa Maria Capua Vetere, Lamberto Dini, Sergio De Gregorio, nel frattempo accasatosi con la Casa della Libertà, e altri tre deputati che cancellarono la maggioranza parlamentare.
Tabella con i risultati del 2008
Le elezioni dell’aprile 2008 videro il successo, dopo le polemiche delle ultime politiche, del Porcellum ”necessario” per eliminare i piccoli partiti colpevoli di rendere ingovernabile il paese. L’alleanza PDL, Lega Nord e Movimento per l’Autonomia riuscì ad ottenere 344 deputati e 174 senatori, con maggioranze parlamentari mai raggiunte prima di allora da così pochi partiti. Lo stesso meccanismo, grazie alla soglia di sbarramento al 5% portò, per la prima volta dalla nascita dell’Italia repubblicana, all’esclusione dei socialisti e della sinistra radicale, o meglio della Sinistra Arcobaleno, benché dobbiamo mettere subito in chiaro che non fu solo merito del sistema elettorale, ma Diliberto e soci s’impegnarono molto a far perdere voti alla propria federazione.
Tra i motivi dell’esclusione ci fu tuttavia anche il PD, nato da poco, che decise per la corsa in solitaria, memore di quello che era accaduto con il Professore, o con coloro che decidevano di sostenere la loro piattaforma programmatica, a cui aderirono IDV e Radicali, mentre l’UDC riuscì nel miracolo di entrare nel parlamento senza alleanze.
La XVI legislatura si semplificò come mai accaduto prima. Vi erano solo due coalizioni, benché non fossimo ancora al bipolarismo perfetto sognato da alcuni nostri esponenti perché vi erano comunque otto partiti, ma se escludiamo SVP, Valleé d’Aoste e un indipendente eletto dagli italiani all’estero, solamente cinque partiti si divisero Palazzo Madama e Montecitorio, la strada per la governabilità sembrava segnata.
L’avanzare della crisi, ma in percentuale maggiore gli interessi individuali attraverso i contrasti con Lombardo prima e Fini in un secondo momento, hanno assottigliato sempre più la maggioranza avviando la pratica italiana dell’“alleanza aperta”, cioè uscire dal partito, o coalizione, in cui uno era stato eletto per passare a un altro o, altrimenti, creare nuovi gruppi parlamentari legittimamente riconosciuti nel ramo legislativo. La fine del XX secolo ha visto accelerare quest’ultimo fenomeno, ma le radici di questo fenomeno sono lontane perché la classe dirigente liberale, tornata in auge dopo la parentesi fascista, propose una carta che prevedeva una struttura organizzativa simile a quella del Regno nel periodo Giolittiano, in cui era assente il vincolo di mandato, art. 67 della Costituzione. La persona eletta non è obbligata a rispondere ai suoi votanti, perciò il cambio di “casacca” viene tollerato e consentito. Inoltre il vincolo di mandato ebbe un suo perché nel momento in cui si votò con l’uninominale, ma con la legge Calderoli ci si esprime su liste bloccate e non vi è una vera scelta dei candidati da parte dell’elettorato attivo.
Ritengo sia interessante fare una veloce visione di quello che è diventato il parlamento alla fine dell’esperienza Monti dimostrando una realtà totalmente diversa da come iniziò e qui visibile.
Sulla sinistra il parlamento al 2008 e a destra Montecitorio alla data di oggi
Qualcuno potrebbe opporsi che l’immagine a sinistra è troppo semplificata, ma all’inizio della legislatura, ripeto, erano presenti due raggruppamenti: la maggioranza (PDL+LN+MpA), l’opposizione (PD+IDV) a cui si aggiungeva il blocco di centro (UDC). Tra i primi a compiere una scissione ci fu Fini e il suo Futuro e Libertà per l’Italia (FLI), nato quando il presidente della Camera comprese che Berlusconi non gli avrebbe ceduto tanto velocemente lo scettro di leader del centro-destra. Con lui si aggiunsero trentatre parlamentari che si collocarono nell’area centrale avvicinandosi all’UDC di Casini, con cui infatti si sono alleati. Quando Fini abbandonò platealmente il PDL molti dei “colonnelli” chiesero le sue dimissioni dalla carica che ricopriva e l’abbandono da parte del suo partito dell’aula perché non era stato legittimamente eletto. La stessa richiesta però non fu fatta il 20 gennaio 2011 quando nacque Iniziativa Responsabile, collocato a centro – destra e sostenitore del Berlusconi IV, benché una volta caduto diede la propria fiducia anche a Mario Monti. Questo movimento, in verità, è un microcosmo composto da cinque fazioni con deputati di provenienza trasversale e sono: Noi Sud – Libertà e Autonomia, Popolari d’Italia Domani, Movimento Responsabilità Nazionale, Azione Popolare, Alleanza di Centro, La Discussione.
La prima puntata sul parlamento della XVI legislatura si ferma qui, nel prossimo numero una nuova carrellata sui nuovi rappresentanti nazionali e i loro movimenti, ai più sconosciuti, e presenti nel gruppo misto.
Simone Colasanti