La pelle, Curzio Malaparte
Lo vogliamo rivalutare e rileggere questo Malaparte?
Come “Kaputt” questo romanzo è al limite della biografia. Sembra racconti la sua esperienza come ufficiale di collegamento tra l’esercito italiano e quello alleato durante la liberazione dal nazifascismo, ma è molto di più.
Descrive esperienze al limite del surreale, come un’ammucchiata tra omosessuali, una sirena offerta a una cena di un generale americano, un morto schiacciato dal un carrarmato che diventa sottile come un foglio di carta… la verosimiglianza è così spiccata che sulle prime si resta stupiti, poi si supera lo stupore e si comincia a chiedersi cosa voleva dirci l’autore.
Tutto il libro è pervaso da un’amarezza spiazzante, ma se le descrizioni sembrano degradare certi ceti sociali o certi avvenimenti, in realtà, sotto sotto, c’è un sostrato di amore disilluso di cui Malaparte non riesce a liberarsi.
Poi arriva il profeta. O forse il termine è improprio. Un profeta vede quello che ha ancora da venire. Ma lui sembra vedere quello che aveva già sotto gli occhi. Comunque:
“La pelle, questa maledetta pelle. Voi non immaginate neppure di che cosa sia capace un uomo, di quali eroismi e di quali infamie sia capace, per salvar la pelle. Questa, questa schifosa pelle, vedete? (…) E’ la civiltà moderna, questa civiltà senza Dio, che obbliga gli uomini a dare una tale importanza alla propria pelle. Non c’è che la pelle che conta, ormai.”
Ormai… E se fosse sempre stato così?