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Memorie libiche: donne memorabili.

Da Suster

L'avevo anticipato, me l'ero preparato, poi, per ragioni di organizzazione, di coerenza tematica, di eccessiva lunghezza dello scritto, ho sempre rimandato.
Ma ci tengo a non cestinare questi appunti, a parlare per esteso di almeno due figure che per me hanno significato un immediato terreno di confronto, con le quali ho instaurato forse rapporti e ho avuto modo di interagire in maniera più significativa, perché affini in età e ruolo. Trattasi delle mie bellissime, giovanissime cognate, belle donne libiche, ma soprattutto, belle persone, porte verso una cultura che in molti momenti mi è parsa inaccessibile.
Allora aspettavo di arrivare alla lettera P, sotto la voce "persone", ma 'fanculo ai programmi (attenzione a non usare questa espressione in un contesto cui sono presenti dei libici, perché si capisce: "fanculo" lo usano anche loro, degna eredità dei nostri coloni, e non si addice in bocca a una donna).
Invece lo pubblico oggi, 8 marzo, indovinate un po' perché? Parliamo di donne, ovviamente. Una finestra su un modo diverso di esserlo, concedetemi questo sbrodo. In Libia non si celebra la festa della donna, del resto: se non le omaggio io di questo ramoscello di mimosa virtuale, e a loro insaputa, chi lo farà?
Memorie libiche: donne memorabili.
Zenab.
Zenab sarebbe la mia cognatina, di appena 20 anni. Avrà pure vent'anni ma di fronte a lei mi trovo spesso nell'imbarazzo di non saper giustificare la mia incapacità nella maggior parte delle faccende che qui riguardano l'esser donna, dalla cucina all'henné, e di dover essere istruita a livello elementare, vista la mia più totale estraneità e indifferenza per tutto ciò che concerne la sfera delle consuetudini sociali (vedi chiacchiere tra donne in visita, scambi di vestiti, e l'arte di figurare come perfetta padrona di casa esternata nella impeccabile sequenza di vassoi di leccornie da somministrare agli ospiti di turno. In parole povere: due palle!)
Probabilmente questo mio senso di inadeguatezza di fronte a lei, pure tanto più giovane, ma più consapevole del proprio ruolo familiare e sociale, era solo una mia sensazione, che non credo fosse percepita come tale da lei, che anzi, nei miei confronti, ha sempre tenuto un contegno molto rispettoso e gentile, cosa che credo esser legata non solo alla mia maggiore età e al ruolo occupato in relazione ai rapporti familiari (in quanto moglie del fratello primogenito) e sociali (in quanto moglie e madre, mentre lei ancora studentessa e figlia) ma anche a un sincero affetto, per quanto immagino che sia rimasta più volte perplessa di fronte ad atteggiamenti e abitudini mie che forse potrà aver considerato come "stranezze" (come la mia mania di fare foto, o la scarsa attenzione per il mio abbigliamento, se non vogliamo dire trasandatezza).
Nel complesso quindi il nostro modo di rapportarci l'un l'altra si presentava quanto mai bizzarro, se di rapporto si può parlare dall'andamento dei nostri pazzeschi dialoghi.
Io nella fattispecie, lungi dal far mio quell'atteggiamento adulto che mi sarebbe consono, mi sentivo piuttosto sopraffatta dalla sua sensibile maturità, dalla sua limpidezza di sentimenti, dalla sua sollecitudine e dalla disponibilità silenziosa e amorevole, infine dalla sua imperturbabile pazienza.
Ma cesserò di parlare di me sforzandomi di accettare il fatto di non essere sempre riuscita a dare il meglio, messa alle lunghe nella continua necessità di adattarmi ad un mondo che non era il mio e a cui non ero avvezza.
Volevo invece finire di parlare di Zenab, che a vent'anni, a parte studiare, e aspirare a diventare presto insegnante, sposarsi e lasciare finalmente la casa d'origine, riesce a infilare nella sua giornata la preparazione di due pasti elaborati per un numero variabile dalle 5-6 alle 15-20 persone, la pulizia e l'ordine della casa e del bucato, la gestione di uno stuolo di fratellini vocianti e petulanti, l'assistenza ad una sorella ritardata, ancora più vociante e petulante e capace dei più tenaci capricci di un bimbo di due anni, la soddisfazione delle continue richieste di servizi da parte di: fratelli redivivi che pretendono l'apparecchiamento di pranzo e cena ad personam a qualsiasi ora si presentino, mamma esausta, moglie del padre scassamaroni e zie eventuali in visita.
No, cioè... io avrei mandato tutti in culo da un pezzo.
Ma mai una parola spazientita senti uscire dalla sua bocca, mai uno sbuffo, mai una rispostaccia.
Elargisce sorrisi, balocca i bimbi, trasporta vassoi apparecchiati con garbo e cura amorosi (qualcuno noterà la disposizione dei centrini e l'attenta ripartizione coreografica delle pietanze nel piatto?), deponendoli con attenzione e inchini davanti a chi di dovere, con movimenti lenti e flessuosi, molto, molto femminili, e non usa mai fretta nel far niente.
Del resto la fretta non ha ragione di risiedere qui, non è la bene accetta, non si pensa mai che non ci sia tempo per fare questo o quello. Il tempo basta a fare ciò che c'è da fare, e se avanza poco male: nemmeno la noia sembra attecchire. Al limite ci si improvvisa una pennica diurna.
Zenab comunque, raramente se ne concede, di questi riposi estemporanei.
Se ha tempo, si infila in cucina a preparare laboriosi ed elaborati manicaretti, dolci o salati, ma soprattutto dolci, dolci assai, che possono prenderla anche un intero pomeriggio di lavorazione, tanto non c'è fretta, ripeto, ogni cosa prende il suo tempo, il tempo che ci vuole a farla bene, e lei si muove sempre ondeggiando nei suoi abiti lunghi, senza impataccarsi le ampie maniche, quasi danzando.
Ho provato a starle dietro in una di queste preparazioni, ma, ahimè, non mi dura la pazienza di arrivare in fondo. Il più delle volte mi fermo alla fase uno: passare al setaccio la semola o la farina. Niente preparati Cameo per microonde!
Zenab era fidanzata con un ragazzo, che però è morto durante il recente conflitto. Non che questa cosa ce l'abbia detta apertamente nessuno. E' andata così: abbiamo ricevuto la visita di una signora, che diceva di esser passata per conoscere me, la sposa straniera  venuta da lontano.
Esasperata dal continuo avvicendarsi di queste infinite visite di donne curiose e desiderose di conoscermi, alle quali pur tuttavia non avevo gran ché da dire, mi rivolgo, con una certa stizza ad Hasuna: "Ancora? Ma chi è mo' questa?"
"Boh, che ne so io? Halodjubdjlnancdid? (Rivolgendosi a Zenab parla in arabo: ma chi è questa, scusa, cara sorella?)"
Lei risponde: la mamma di un amico di tuo fratello. E non aggiunge altro, ma si copre il viso, le trema la voce, e se ne va.
Per me questo episodio è stato come uno schiaffo in pieno viso. E non so perché lo scrivo qui, cosa voglio raccontare... la dignità del dolore? Il pudore silenzioso? La difficoltà estrema di comunicare certi sentimenti, la conflittualità di certe situazioni, lo strano senso di estraneità tra i membri di una stessa famiglia? Fate un po' voi.
Zenab finisce di rassettare la cucina e raccoglie i panni di tutti dal balcone, si porta un grosso libro in sala e lo apre sulle ginocchia, seduta sempre in terra, sui grandi cuscini addossati alla parete.
Ma ecco, arriva Ahmed con la cartella della scuola, la rovescia accanto a lei e si siede chiedendole di aiutarlo nei compiti. Lei non fa storie, mette da parte il suo libro e prende in mano quelli del fratellino.
Memorie libiche: donne memorabili.
Iman.
L’altra “cuniata” sarebbe la moglie del fratello di Hasuna, il terzo (Hassan, sempre una gran fantasia nello scegliere i nomi, questi arabi).Iman è una ragazza spigliata e moderna. Dico moderna nel senso comunemente conferito al termine dal nostro comune sentire; a vederla, e malgrado il velo, appare sicura di sé, spiritosa e energica, e di maniere pratiche e spicce. Non sembra farsi troppi problemi sul come e sul quanto, sui però e sui “farò bene”, i vari “sarà meglio?” e i frequenti “e se poi” che assillano noi madri di qui, nel crescere la sua bambina di 7 mesi (oramai 9).Lei del resto, la bambina, è il ritratto della tranquillità, sorridente e paciosa non sembra farsi cruccio dell’apparente noncuranza materna, e malgrado il putiferio che le si scatena intorno a ogni nuovo arrivo dell’orda di microzii under 10. Non sembra neppure risentire delle ore di musichine elettroniche sincopate sparate dalla TV perennemente accesa, dei ripetuti abbandoni su divani e materassi, involtolata come un bozzolo nella sua coperta di lana rossa; tutt’al più finisce per ribaltarsi faccia in giù emettendo flebili lamenti da sotto quella spessa rivestitura; con mia grande ma impotente apprensione, a parte ripetuti inviti a controllare, è stata mollata a dormire sul sedile posteriore dell’auto chiusa sotto il sole, sempre abbozzolata in quella sua consistente coltre, mentre i genitori se ne scorrazzavano dimentichi e beati sulla spiaggia e qui, vi assicuro, quando il sole batte batte, anche a gennaio.Sempre con mio grande e silenzioso disappunto viene rimpinzata a ogni ora e senza logica alcuna dei più svariati alimenti, dal cus-cus in salsa di trippa ai dolcetti di mandorle e pistacchi, ma ciò che maggiormente la mia coscienza clinicizzata di brava madre occidentale si è sorpresa a disapprovare scuotendo mentalmente la testa è una pappina di latte in polvere per neonati scarsamente diluita in pochissima acqua, e quindi altamente concentrata, alla faccia dei misurini rasi che ricordo il pediatra mi ha sempre raccomandato di allungare in una quantità di acqua superiore di 30 cl alla dose indicata sulla confezione (a pensarci ora a volte si sfiora il ridicolo…)
Ma perché ora vi dico tutto ciò? No, non è per presentare il palese contrasto tra i diversi approcci alla primissima infanzia che si hanno qui e laggiù. Del resto sono talmente macroscopici che rimarrebbe poco da aggiungere, e infondo è normale che quando cresci circondata da fratellini e cuginetti più piccoli a cui in qualche modo devi star dietro, diventi madre a 23 anni e non a 37, e sai che sarà la prima di una lunga serie, sei un tantino più portata aridimensionare le immani ansie che pungolano noi madri di piccoli extraterrestri, di cui improvvisamente accorgiamo di non sapere un bel ciufolo.
Ciò che però mi preme evidenziare è come da parte di nessuno, donna o uomo che sia, ho avvertito il minimo intento o azzardo di metter bocca nelle decisioni o nelle attitudini di Iman come madre, eccezion fatta per la sottoscritta, che, seppur tacitamente, si è scoperta in flagrante a scuotere ripetutamente la testa, atteggiamento a cui noi madri o non madri di qui siamo piuttosto avvezze e predisposte, che lo ammettiamo oppure no, quando notiamo altrui atteggiamenti materni che non condividiamo.Ma in una società in cui i bambini, anche piccolissimi, non vengono cresciuti, accuditi e spupazzati dalla sola mamma, ma da una comunità familiare folta e allargata, ecco che la mamma viene alleggerita del grosso carico della responsabilità assoluta. Lei potrà tranquillamente mollare la pupa in braccio alla cognata ritardata, o alla sorveglianza di una bimba di sei anni, per andare a sbrigare sue faccende, o per distrarsi un poco a chiacchiera con altre donne in visita senza che a nessuno la cosa debba sembrare sconveniente. Il rapporto tra mamma e bambino non è forse così esclusivo e sigillato come siamo da sempre abituati a credere…
E non è che io condivida in tutto e per tutto questo modo di crescere i bambini "alla leggera", non sempre lo ritengo "il modo giusto", quello più sano e naturale, e spesso ho notato atteggiamenti dei grandi che una nostra Tata Lucia bollerebbe come assolutamente non-pedagogici.E però... tutto ciò è forse solo spettro di un generale modus vivendi carico di ansie, aspettative, pressioni, stress. Quanta maggior spensieratezza nel vivere la maternità, quanta nel non giudicare chi lo fa in maniera differente da lei (mai una parola, sono sicura, sulle mie fissazioni, che certo dovevano apparir tali, su orari e alimentazione per la pupa), quanta nel non preoccuparsi del poter essere giudicati. ma quand'è che abbiamo perso questa spontaneità?
Forse è vero: la loro agevolezza nell'esser madri è agevolata dal fatto di dover essere madri e basta, ma forse anche da una generale disposizione a semplificarsi la vita.
Che fai, Iman, vieni con noi a fare un giro al mare?
Lei ci pensa un po', poi: ok, e molla la pupa alla suocera senz'altro aggiungere (laddove io avrei forse specificato che tra un'ora deve fare la pappa, e tra due ore prova a farle fare un riposino, e se non dorme prova a vedere se non avesse fatto la cacca...).
Sono rimasta molto ammirata da questa ragazza.
Ed ecco che usciamo, ci dirigiamo alla macchina, lei continua a scherzare e a scambiare parole incomprensibili con Hasuna, indicandogli i luoghi più piacevoli dove poter andare a guardare il mare, quando mi volto e... per poco non faccio un salto, ma i miei occhi devono aver tradito un qualche moto di sgomento, se non di spavento, forse si sono dilatati come quelli di chi ha improvvisamente una visione ultraterrena: lei si era tirata giù il velo e ora aveva la faccia completamente coperta da una stoffa nera.
Mai mi sarei aspettata di vederla in quella versione, nella versione (dal mio punto di vista) retrogada e sottomessa di una tradizione culturale bigotta e misogina. Lei per me era il prototipo della gioventù libica al femminile, colei che, giunta da Tripoli, avrebbe portato nell'austera famiglia del marito, una ventata di freschezza e novità dalla chiassosa e variegata capitale.
Ho dovuto aggiustare ancora una volta le coordinate delle mie convinzioni.
Iman quando esce di casa si copre il viso. Non è il marito a chiederglielo, non è la famiglia di origine, che comunque è lontana e non potrebbe sorprenderla a volto scoperto; non è la famiglia di lui, dove nessun'altra donna osserva quest'usanza.
Mi spiega che in pubblico non le piace mostrare il volto, che coprendolo così le sembra di tutelarsi e preservarsi da sguardi che non desidera, che non c'è motivo per cui dovrebbe desiderare che uomini esterni alla famiglia possano apprezzarne il viso, e magari esprimere degli apprezzamenti verbali a sua insaputa (e chissà che pensieri impuri! Aggiungo io).
Non capisco ma annuisco lo stesso.
Non le capisco del tutto, queste donne, ma posso accettare che portino avanti un loro sentire tanto lontano dal mio, e pur non incontrandoci, osservarle ammirata e stupita a breve distanza.
Memorie libiche: donne memorabili.

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