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Memorie libiche parte seconda. Vita in casa.

Da Suster

Non so quante persone sane di mente andrebbero ospiti in casa della suocera per un intero mese. Posso dire che le nostre intenzioni iniziali erano diverse, ma le contingenze del momento e l'assenza di alternative valide ci hanno portato a soggiornare e pernottare proprio dai suoceri per l'intera durata della nostra permanenza.
Trattasi della casa di campagna, nell'immediato interland di Misurata, originariamente destinata a soggiorni vacanzieri e scampagnate, per lo più nella stagione calda, ma i danni causati dalla guerra all'altra casa (quella cittadina) ha costretto la famiglia al cambio permanente di residenza.
Per spiegarvi la casa devo spiegarvi prima il fatto che vi convivano due donne, sposate ad un unico uomo (eh, sì: poligamia!), e relativi figli.
Al piano terra sta la seconda moglie, con i figli più piccoli. Al primo piano la mamma di Hasuna con i suoi, tutti bene o male già grandi, ma, per lor fortuna, nessuno in Libia ti darà del bamboccione se vivi in casa dei tuoi fino a quando non ti sposi a tua volta. E' più o meno la prassi.
Tanto per intenderci, in questa casa convivono 16 persone.
Ecco quanto scrivo in proposito:

Casa.
Un concetto difficile da definire univocamente.
E' vero: qui in fondo sono forestiera. Eppure non esiterei un attimo a definire "casa" questo posto, freddo, semidistrutto dall'incendio causato dai razzi che l'hanno colpita, maldistribuita negli spazi, almeno secondo i miei canoni di abitazione, praticamente priva di arredamento, impossibile da tenere pulita, malgrado il continuo impegno delle padrone di casa a tal fine, malgrado l'accortezza di togliersi le scarpe prima di entrare, perennemente disseminata di briciole e terra polverosa ovunque, calpestata da dozzine di piedi e piedini che salgono e scendono di continuo le scale.
I confini permeabili che avevo già notato riguardo i nuclei familiari, si fanno evidenti nell'edilizia. Una casa, due famiglie, una ai piani bassi, una ai piani alti, che però sono la stessa famiglia, distribuita in due unità abitative distinte ma comunicanti.
Le porte sempre aperte, spalancate, spifferi e correnti a non finire, bambini che entrano ed escono, voci che chiamano "Mama!", giocattoli ovunque, brutte bambole made in China giustamente decapitate e mutile, telefoni su ruote privi di cornetta o di altri pezzi, di quando in quando un sudicio peluches spunta fuori da chissà dove, echi di tamburi dai piani bassi misti a voci infantili cadenzate, che intonano canti patriottici, memoria recente delle vicende del Paese.
Due case, una casa.
Due famiglie, una famiglia.
Due donne, un unico, invisibile marito, che compare di rado, a fare la ronda sul territorio "come un gallo nel suo pollaio".
Liti di donne tra sopra e sotto, acuti in crescendo, suoni aspri di cui per fortuna non capisco il senso.
Mi chiedo come possano convivere due padrone di casa con due vite, due personalità, due storie distinte e un comune destino, lo stesso uomo accanto che non c'è mai.
Figli che crescono insieme rispettando l'autorità gerarchica del più grande.
Quelli di sopra, uomini che ormai portano avanti le redini della famiglia, passano la maggior parte del tempo fuori casa, come il padre. Tornano per i pasti, oppure no, per dormire tutt'al più.
Quelli di sotto, dai 14 anni a scendere, una continua festa di urla e strepiti, caos gioioso e spensierato.
Ma anche: che palle! Sarà mai possibile un po' di quiete? No, chiaro.
Dal mio canto trovo incredibile come tante persone possano riempire gli spazi di una casa tanto grande senza ostacolarsi alla fine più di tanto.
Qualcuno dorme sul divano, mentre intorno schiamazzano i bimbi e conversano ad alta voce i grandi; la tv emette di continuo sincopate melodie arabeggianti con sonorità elettroniche febbrili (non mi pronuncio sulla qualità dei videoclip!) nella generale noncuranza per il volume elevato, nessuno la sta guardando; qualcuno prega in corridoio, prostrandosi su un tappeto verso est, dimentico del mondo circostante; vado in cucina in cerca di qualcosa per la pupa e la cena è già sul fuoco, in enormi pentoloni di alluminio, qualcuno vi si affaccenda intorno, qualcun altro spunta dal frigo, intento a ravanare tra gli avanzi del pranzo, mi vede, sorride e saluta.
Qui si chiede di continuo "Come stai?", anche se ci siamo visti appena qualche ora fa. E si risponde: "Grazie a Dio".
Grandi spazi comuni, praticamente totale assenza di stanze private.
Nessuno sente mai il bisogno di isolarsi. Sanno isolarsi, in caso di necessità, nella compagnia.
Io rappresento l'eccezione, con la mia smania di appartarmi appena si presenta l'occasione, e nove su dieci, mi vengono a cercare. Cosa fai da sola? Vieni di là con noi.
Non è che non si possa: sono davvero dispiaciuti all'idea che io me ne stia tutta sola soletta a leggere in terrazza (traduci: Oh, finalmente me ne sto un po' per i c... miei!), e il fatto che le persone ti cerchino, ti chiamino a partecipare della vita comune è un gesto di riguardo, attenzione e affetto.
Nessuno mai si lamenta della confusione. Niente mai "Silenzio! Sto studiando!" Come echeggia ancora nei miei ricordi d'infanzia.
Una casa che non è un luogo di raccoglimento individuale, dove si organizza e si utilizza il tempo, o dove al più si cerca di impiegarlo insieme in attività ricreative comuni... No: questo era il concetto di casa che avevo io fino ad ora.
Qui la casa è più un'area di stazionamento umano, punto di riferimento di esistenze intimamente legate tra loro, che vi orbitano intorno, alcuni con moto elettronico, senza sostarvi mai più di tanto (gli uomini), altri come massa nucleare, senza allontanarvisi mai che per brevi intervalli, e sempre e solo per aggregarsi ad altri nuclei (le donne).
Spazi comuni, dove si sta insieme senza necessariamente dover concordare un'attività comune.
Arrivano i vassoi all'ora dei pasti: ci si accovaccia a terra e si mangia, in tre, quattro, cinque, senza sporzionare, senza primi e secondi.
Non è che non ci sia un ordine, è solo diverso a quello cui sono abituata.
Conclusione per me: nel mangiare, come nell'abitare, non esiste un solo modo valido.
Memorie libiche parte seconda. Vita in casa.
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Memorie libiche parte seconda. Vita in casa.
P.S.Appunto importante sulla climatologia domestica libica: io ignoro se il fatto che non esista alcun impianto di riscaldamento più strutturato di quella ridicola stufetta elettrica di cui disponevamo in casa, sia condizione generale a tutte le abitazioni del Paese. Fatto sta che in casa faceva molto freddo, persino quando fuori il sole usciva a scaldare l'aria di un gennaio decisamente mite per i nostri canoni, dentro casa riuscivo a vedere la condensa del mio fiato.bisogna dire però che al freddo domestico contribuivano i danni della guerra, che, da brava reporter, ho documentato, almeno in parte (perché alcune stanze sono state completamente carbonizzate).
Memorie libiche parte seconda. Vita in casa.
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Memorie libiche parte seconda. Vita in casa.

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