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meno Europa

Creato il 16 giugno 2012 da Gaia

Nell’ultimo post ho fatto delle superficiali affermazioni ‘antieuropee’ che mi sento in dovere di approfondire.

Leggendo quello che riesco dei dibattiti sul futuro dell’Europa, molto accesi ultimamente dato il momento di crisi, noto che prevale un’insidiosa confusione tra forma e contenuto. L’Europa dei diritti, l’Europa liberista, più Europa per controllare le banche, più Europa per frenare le derive autoritarie, l’Europa per la pace, l’Europa per avere un peso nel mondo, l’Europa cristiana, l’Europa per la disciplina fiscale… tutti tirano l’Unione Europea dalla loro parte, chiedendo che cambi, quasi sempre, ma non mettendo in discussione la sua stessa esistenza. Se la criticano, di solito è per i comportamenti che tiene, non per le premesse fondamentali su cui si basa. Qualche eretico propone di uscire dall’euro; molti meno dall’Europa politica. Anzi: ci vuole più Europa perché l’Europa saprà fare le cose giuste; sempre più Europa, mai meno. L’Europa è un’entità in principio positiva, o al massimo che va corretta. A me sembra che gli europeisti, cioè al momento la maggioranza, appoggino l’esistenza dell’Unione Europea non perché pensano che sia un metodo migliore di governo ma perché, implicitamente, si aspettano che sappia imporre su scala più ampia di quella statale le politiche di loro preferenza. Infatti, gli europeisti appartengono a tutti gli schieramenti, salvo forse all’estrema destra nazionalista*. Perché ognuno crede che l’Europa sia o possa essere la realizzazione del proprio sogno. (Eccone qua un esempio) Io invece contesto l’idea di unione europea indipendentemente dai suoi contenuti, che faccia gli interessi dei lavoratori o delle banche, che cacci i governi che non mi piacciono o che imponga standard assurdi su come dobbiamo fare da mangiare, indipendentemente persino dal predominio di Germania e Francia – io sono contro il governo europeo a priori. Sono favorevole alla cooperazione europea su certe questioni, ad hoc, agli scambi culturali e alla conoscenza e all’esempio reciproco, a un’identità comune compatibilmente con le nostre altre identità, e sono anche favorevole a tavoli non solo interstatali ma anche interregionali di coordinazione e collaborazione – per fare un esempio tra i moltissimi possibili, tra Friuli Venezia Giulia, Slovenia e Carinzia. Quello che invece non voglio sono istituzioni europee permanenti che prendono decisioni vincolanti per gli altri governi e per i cittadini dei paesi appartenenti all’Unione. Non lo vorrei nemmeno se prendessero le stesse identiche decisioni che io auspico – così come non vorrei essere governata da un sovrano illuminato, nemmeno se quel sovrano fossi io.

Il motivo è che l’Unione Europea è troppo grande, e l’Unione Europea è complicata. Questo significa che qualunque cosa faccia, la stragrande maggioranza dei cittadini non avrà il tempo o la preparazione per capirlo, se non a grandissime linee e superficialmente. Io mi considero una persona con molto tempo per queste cose e con il tipo di istruzione giusta, e non particolarmente ottusa, eppure mi sfugge la gran parte di quello che succede – e non mi basta farmelo spiegare in breve dall’editorialista del quotidiano che leggo in un tal momento o dal tg che mi capita di guardare. Un giorno ho modo di approfondire, ma il giorno dopo devo pensare ad altro e mi sfuggono passaggi importantissimi. C’è troppa roba.

Uno potrebbe obiettare che l’operato dei governi si valuta in base alle conseguenze: non serve conoscere tutti i passaggi, basta vedere l’esito. Non è vero. Si può governare bene, per avere risultati tra anni, e quindi deludere l’elettorato nel frattempo. Si può governare male, e la gente non se ne accorge finché non è troppo tardi o c’è un altro governo che si trova con un casino di cui non è responsabile. Si possono prendere decisioni disastrose, gestire male la cosa pubblica, e nasconderlo alla cittadinanza che non può orientarsi su scale ampie e in meccanismi complessi, e quindi magari incantarla dando la colpa a chi non è colpevole o facendo finta che tutto vada bene. Inoltre, anche se i cittadini capiscono di venire fregati, cambiare un governo su scala così grande, o convincere l’amministrazione in carica a cambiare operato, è difficilissimo. Se non mi piace la pista ciclabile della mia città, raccolgo le firme e le porto al sindaco e all’assessore. Ma se non voglio la TAV, sono contraria a un certo tipo di politica di sostegno all’agricoltura (pensate a quella cosa che è la PAC), andare a Bruxelles è complicato e non posso che esprimermi votando. Però devo scegliere tra candidati che, data la complessità della materia, possono avere tutta una serie di posizioni su molte questioni (sempre che siano sinceri e non manipolino la realtà…), alcune delle quali mi vanno bene, altre no – e come fargli capire cosa mi va bene cosa no? Anche a livello locale un politico o un partito può non andarmi bene del tutto, certo, ma almeno lì posso dirglielo personalmente, con altri cittadini – posso partecipare. Farglielo capire via elezioni europee è molto più difficile. Inoltre devo sperare che il mio candidato vinca, che vincano altri come lui in altri paesi, che si batta su tutti i fronti che ha promesso, e che riesca ad ottenere qualcosa a fronte di un groviglio di interessi contrastanti – tutto questo mentre i miei personali contatti con lui sono limitati, perché rappresenta tantissime persone e non può ascoltarle tutte individualmente su ogni cosa. È come cercare di spostare una nave con un bastoncino.

Per questo motivo io ritengo il governo su scala ridotta preferibile: perché è più democratico, più trasparente, più conoscibile. Non nego che grandi scale abbiano vantaggi: maggiore potenza, maggiore peso internazionale, per esempio. Forse, ma solo forse, maggiore efficienza o efficacia, ma ho i miei dubbi – meglio far partire la raccolta differenziata su scala comunale, che aspettare che l’Europa ci dica come. E comunque, per la democrazia e per la libertà di decidere sono disposta a sacrificare i vantaggi di una grande dimensione. Guardate ai prodigi degli imperi nella storia. Hanno fatto cose straordinarie. Infrastrutture, legislazioni che hanno fatto scuola, influenze culturali che permangono ancora, opere d’arte passate alla storia, intuizioni lungimiranti. Ma io non voglio stare sotto un impero.

Siate sinceri: chi di voi sa qual è il budget dell’Unione Europea? Come spende i soldi? Quali sono le sue istituzioni principali e cosa fanno? Chi di voi ha contatti regolari con i nostri rappresentanti in Europa, a vario titolo, o ha mai visto un burocrate? Chi di voi ha la sensazione di potere qualcosa su quello che fanno? Ora rispondete alle stesse domande, ma per il comune o la regione. Credo vada già meglio. Io per esempio ho contatti regolari con qualche rappresentante eletto e accesso ai funzionari, so a chi chiedere se devo sapere qualcosa, e riesco a seguire regolarmente le vicende regionali. Meno quelle nazionali, ma ancora ci sto un po’ dietro. Con l’Europa non ce la faccio. Non ho più tempo, non la conosco, è enorme.

Inoltre: già l’Italia è diversa tra nord, centro e sud, e difficile da tenere insieme. Ma l’Europa ancora di più. Certo, ci sono molte cose in comune tra i popoli europei, tanto più ora in un mondo appiattito e globalizzato. La storia e la geografia ci legano, e questo non lo nego, anzi lo sento con orgoglio. Ma ancora non siamo tutti uguali e le differenze culturali, geografiche, climatiche, etniche, linguistiche, di valori, si traducono anche in diverse esigenze da governare diversamente, con strumenti diversi e con scelte diverse. Non sono folklore da proteggere perché si estingue o da valorizzare perché è pittoresco. Sono realtà fondamentali. Non sto dicendo che gruppi umani diversi non possano governare assieme e coesistere in un’unità politica. Ma hanno bisogno di autonomia al suo interno, e comunque oltre un certo limite, non stabilibile facilmente ma non per questo inesistente, la diversità diventa ingestibile. Ognuno dialoghi con gli altri, ma governi se stesso. Pensiamo alla nostra vita di tutti i giorni. Per non parlare di realtà importanti ma molto piccole come un quartiere, un’associazione o un’università, diciamo che prima incontriamo il comune, poi la provincia (che non serve a molto), poi la regione, poi lo stato, e sono già tanti livelli. Salire ancora mi pare vertiginoso e inutile. Alle volte si può fare: ma non sempre e non per tutto.

Concludo dicendo che il progetto di pace e cooperazione che sta alla base dell’idea europea è sicuramente bello e potente. Lo condivido. Ma non credo che l’unione politica sia in alcun modo, soprattutto adesso, garanzia di pace. Dove ne sono le prove? Si può dire che si è fatta l’Europa perché c’era volontà di pace, ma anche che questa volontà di pace sarebbe potuta bastare per proteggere il continente da ulteriori guerre, o che sarebbe l’unico requisito necessario per scongiurarle in futuro, al di là di istituzioni che possono anche crollare più velocemente di un’idea. Pensiamo alla Svizzera, che sta per conto suo ma è troppo furba per fare le guerre, oppure alla ex Jugoslavia. Ad un certo punto non ha retto più e si è dissolta violentemente. E ora che la guerra è finita da anni i paesi, risollevandosi pian piano, cominciano a cercarsi di nuovo, a cooperare, a fare affari, a confrontarsi. Questo è dovuto alla geografia, alla lingua comune, alle esigenze economiche, al ricambio generazionale. Non all’unità politica. Quella è stata fatta a pezzi quando non andava più bene. Se la crisi europea continua, non si può escludere che si aggravi e diventi più aspra, fino alla violenza. È da desiderare che non accada e da impegnarsi per questo, ma saranno la volontà e l’impegno, la generosità e la capacità di trattare, non l’esistenza di istituzioni rigide in cui farlo, che ci salveranno da altre guerre.

* anche se ho appena letto su un sito di Casa Pound affermazioni europeiste, contraddistinte dalla loro solita ambiguità


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