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Mental Coaching è anche respons-abilità, autonomia e libertà

Creato il 04 marzo 2013 da Ekis Sport Coaching @Ekis_srl

Fare il proprio sport o essere il proprio sport.Fare il proprio sport o essere il proprio sport.

Mi sento di sintetizzare così, la profonda differenza che nella mia esperienza di atleta, allenatrice e mental coach ho spesso riscontrato in noi amanti e appassionati di sport.

Nasce subito la domanda, e sappiamo quanto le giuste domande siano importanti: cosa fa la differenza tra l’atleta che fa il proprio sport e l’atleta che è il proprio sport?

Mettendo assieme le tante tessere del mosaico, sento di poter dire che l’essenza vera dell’atleta che è il suo sport e non si limita a fare il suo sport è caratterizzata da respons-abilità, autonomia e libertà.

L’esperienza sul campo mi ha dimostrato che questo assioma trova conferma a tutti i livelli e fa la differenza.

In ottobre, dallo spunto di un lavoro di sport coach che mi trovavo ad affrontare, avevamo toccato la tematica delle “due personalità al cancelletto di partenza” e ci eravamo lasciati con la promessa di riaggiornarci verso fine stagione.

Ho imparato molto da questo atleta, con tutta sincerità vi dico che i ruoli si sono quasi invertiti e che l’esperienza è stata illuminante.

Non è possibile, in poco spazio, condividere i tanti stimoli emersi e sviluppati, mi sento di volervi trasmettere almeno un piccolo prontuario di mental coaching e una sintesi del percorso.

Per svariati motivi non sono stata in grado di seguire questo atleta sul campo e con le sport coaching come avrei voluto. Consapevole della sua immensa passione, motivazione, capacità di analisi e di feedback, ho proposto un percorso ove lui sarebbe stato l’assoluto protagonista di sé stesso, anche come sport coach.

Dopo una prima trasmissione di strumenti base di mental coaching, lui ha lavorato sul campo in assoluta autonomia e questo suo immane lavoro lo abbiamo accompagnato con momenti di confronto e di approfondimento di sport coaching, senza tuttavia inserire grandi tecniche pratiche.

Ciò che si voleva risolvere in prima istanza era lo stato d’animo assolutamente depotenziante,caratterizzato dapalpitazioni, gambe prive di energia, agitazione (i famigerati“farfalloni nella pancia”) e tanto altro, che l’atleta viveva prima della gara e che ovviamente inficiava ogni sforzo e ogni tentativo di esprimere al meglio la sua sciata.

Vi riporto in sintesi quello che è stato il suo percorso.

I primi lavori sulla fisiologia e sul linguaggio(si diceva: “Stai tranquillo, calmati, andrà tutto bene, ..”) non si sono rivelati così efficaci e la sensazione più evidente faceva emergere comeil suo stato d’animo negativo si rafforzasse proporzionalmente alla resistenza che gli opponeva.

Ha deciso così di cambiare strategia, rivolgendosi direttamente allo stato d’animo come fosse una persona e dicendo testualmente: “Mi arrendo, hai vinto tu, fai pure di me quello che vuoi, MA sappi che io ora penserò solo a come entrare in curva, a come gestire le traiettorie, a come traslare verso la nuova direzione.”

Questo efficace dialogo direttogli ha permesso di aprire un varco verso le sue risorse, dirigendo altresì il focusagli aspetti prettamente tecnici su cui lavorare.

Tutti i tempi morti tra una discesa e l’altra non si sono più caratterizzati da ansia e tensione, ma si sono trasformati in ulteriori momenti di massimizzazione della prestazione, permettendo di perfezionare ulteriormente il gesto tecnico, la tattica e tutti quei fondamentali aspetti che influiscono sulla propria eccellenza.

Lui era convinto che fisiologia e linguaggio non fossero stati efficaci; in realtà, non era il cosa, ma il come a non produrre i risultati sperati. Una volta registrato anche il come, tutto si è liberato.

Ha sconfitto una forza depotenziante, abbandonando il terreno della conflittualità per reindirizzare la totalità delle sue risorse verso il cuore tecnico del gesto atletico.

Sempre riprendendo le considerazioni dell’atleta-coach: “Una volta che ho cessato di resistere al mio stato d’animo negativo abbandonandomi ad esso e dicendogli direttamente “fai quello che vuoi”, perché io avevo aspetti importanti della mia tecnica da perfezionare, è come se lui si fosse disinteressato di me, come se gli avessi tolto il nutrimento, ed io ero libero di dedicarmi totalmente al creare gli automatismi e quindi all’importantissima ripetizione del gesto tecnico che si è via via rivelata sempre più entusiasmante e divertente. Il gesto tecnico, pur ancora non perfetto, che prima vivevo come limite e motivo di ansia, è divenuto lui stesso mio alleato, in quanto ora la mia attenzione era esclusivamente su ciò che di esso mi trasmetteva sensazioni positive, sia visive che auditive che cinestesiche. Ogni occasione era utile per immagazzinare tutto questo “bel sentire”, ancorandolo, e da lì traevo nuova energia per mantenere l’ascolto anche sugli aspetti ancora da migliorare, ma ora con uno sguardo e un sentire di coach. L’immensa energia che prima era negativa e di freno si è trasformata in una fonte infinita di autoricarica.Lo stato d’animo negativo è come l’acqua che fluisce e che per sua natura tende a riempire gli spazi lasciati vuoti, se riempio quegli spazi con qualcosa di più utile per me, l’acqua automaticamente fluirà altrove.”

Fatto il primo passo, il meccanismo spesso comincia a sgretolarsi e il lavoro, pur sempre fondamentale, diventa più facile, anche perché si arricchisce di sensazioni positive, di soddisfazioni e divertimento.

Questo atleta, partendo da una piccola base di mental coaching, ha sperimentato e scoperto da solo tanti suoi segreti,divenendo il miglior sport coach di sé stesso,soprattutto nell’aver fatto sual’essenza vera dell’atleta che è il suo sport, ossia la respons-abilità, l’autonomia e la libertà. Su questo fondamento, ora un percorso condiviso con il suo mental coach può dare risultati esponenziali. (guarda questo video)

Ho guardato con occhi e orecchie da sport coach i mondiali di sci alpino e ripensando a certi atteggiamenti e dichiarazioni di Ted Ligety, Marcel Hirscher e Tina Maze, che quest’anno hanno avuto una stagione strepitosa, credo che a tutti i livelli la differenza la facciano alcuni aspetti.

Ecco un’idea del decalogo del vincente:

1) AUTENTICO ASCOLTO di sé: sei tu che senti, vedi, ti percepisci, e che ti conosci meglio di chiunque altro, il coach e l’allenatore sono tuoi alleati, ti possono aiutare, ma sei tu che fai la differenza, lavora per essere protagonista di te, anche dedicandoti degli allenamenti in autonomia e solitudine, per allenare l’ascolto e il coach che è in te;

2) avere un OBIETTIVO chiaro, coerente con ciò che è importante per te e legato ad unperché, ad uno scopo;

3) FARE UN PRIMO PASSO verso quell’obiettivo ed eventualmente porsi delle tappe intermedie, ricordandosi chenulla è impossibile se suddividi la sfida in piccole parti;

4) essere consapevole che qualsiasi atteggiamento e/o comportamento, anche il più disfunzionante, ha uno scopo positivo o lo ha avuto in passato; CAPISCILO E TROVA UNA STRADA DIVERSAper soddisfarlo, quella strada che per te ora è espressione di benessere;

5) AGISCIcon flessibilità e resilienza;

6) conosci e governa la forza dei tuoi pensieri e delle tue convinzioni, partendo da quella che ti rende consapevole che TUTTE LE RISORSE SONO GIA’ DENTRO DI TE, devi solo imparare ad attingervi nel momento giusto, ad incanalarle e valorizzarle;

7) ogni ERRORE E’ UNO STRAORDINARIO COACH, sta a te viverlo come tale e imparare il meglio da esso;

8) condisci il tutto di DIVERTIMENTO;

9) costruisci ed alimenta la tua AUTONOMIA e RESPONS-ABILITA’, pur valorizzando l’importanza del confronto e della collaborazione;

10) VIVI nel QUI e ORA, pur imparando dal passato e progettando i sogni futuri.

Tiziana De Martin
DiTiziana De Martin


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