Tutti hanno gli occhi rivolti a oriente. Tutti sono in apprensione per quello che accade in Giappone. Ed è abbastanza ovvio: c’è più di una giustificazione per essere preoccupati per quanto accade nel paese del Sol Levante. Ma è altrettanto ovvio che questa preoccupazione si è trasformata in una formidabile distrazione rispetto a quanto accade sull’altra sponda del Mediterraneo, dove Gheddafi, quatto quatto, si sta riprendendo la Libia.
Ora, debbo chiarire che io sono sempre stato scettico sulla «rivoluzione» libica. A me è sempre parsa una rivoluzione davvero poco autentica e molto vicina al terrorismo islamico o comunque all’estremismo fondamentalista o integralista, ma è parimenti chiaro che non mi piacciono i dittatori e non mi piace Gheddafi. Per cui, per certi versi tifavo per i ribelli, malgrado avessi paura che una loro vittoria avrebbe posto le premesse per la nascita di regimi islamici a pochi passi da casa nostra.
A quanto pare questo è un pericolo scongiurato. Gheddafi ha deciso di non fuggire all’estero e di riprendersi il paese, che considera ormai di sua proprietà. E lo fa mentre il mondo è distratto da quanto accade in Giappone. Un dramma provvidenziale per chi era considerato ormai il passato libico e che invece pare intenda ancora essere il futuro della Libia.
Se questo è vero, quello che mi lascia perplesso è come sia potuto accadere che gli Stati Uniti non siano stati capaci di avere un ruolo più incisivo nella crisi libica. In altre parole, mi domando come sia stato possibile che non abbiano imposto una no-fly zone che avrebbe impedito al regime di Gheddafi di riprendersi il paese. E in verità la domanda è pure rivolta all’Europa, dove non si è andati oltre gli strepiti contro Gheddafi.
La risposta non è facile e credo che molte verità che potrebbero far luce sui reali motivi di questa apatia diplomatica potrebbe darla solo Wikileaks. Se però vogliamo lavorare di fantasia e vogliamo fare gli avvocati del diavolo, la risposta potrebbe essere composta di otto lettere: p-e-t-r-o-l-i-o.
Già! Petrolio. Quello che l’Egitto non produce e la cui assenza ha determinato la caduta di Mubarak. Quello che invece produce – e in grandi quantità – la Libia di Gheddafi e che USA ed Europa non hanno voluto rischiare cadesse nelle mani di Al Quaeda o dei suoi estimatori o simpatizzanti. Dunque, in una logica di real politik, tra un dittatore che vende volentieri il suo petrolio all’occidente e un regime islamico che potrebbe usare la dipendenza dell’occidente dal petrolio come arma di ricatto, sono prevalse le ragioni di Gheddafi.
E allora tutti gli strepiti e i moniti dell’occidente al dittatore libico? Gli inviti ad andarsene e addirittura l’apertura di un fascicolo al Tribunale dell’Aja? Scenografia a beneficio dei pacifinti e dei sognatori? Può darsi. In verità non lo so. Però è davvero strano che il protagonismo occidentale nel paese libico sia stato praticamente pari a zero, quando in altre zone del globo è stato totalizzante. Che c’entrino i pochi chilometri che separano l’Europa dalla Libia?
Come dicevo prima, sono domande a cui è difficile dare risposte. L’unica certezza è che Gheddafi, lungi dall’essere finito, sta spazzando via i ribelli a suon di missili. Il che lo riporta, volenti o nolenti, dalla parte della ragione (quantomeno della ragion politica), e che mi costringe a fare un’ulteriore considerazione: oggi si può dire che troppo in fretta il Governo italiano ha congelato il trattato Libia-Italia sulla scia dell’emotività. Una mossa decisamente avventata, fatta ancor prima di vedere quali carte in mano avesse il dittatore libico, il quale – bisogna ammetterlo – si è rivelato per suo conto un abile giocatore di poker. Naturalmente, complice il dramma del Giappone, o forse – come è più probabile – i pragmatici interessi occidentali che purtroppo non sono quelli italiani, rinchiusi in un congelatore…
Autore: Il Jester » Articoli 1379 | Commenti: 2235
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