Mentre morde la crisi e Napolitano ci ritenta con la storia della cittadinanza ai figli degli stranieri

Da Iljester

Se bastasse esser nati in Italia per essere italiani, tanto varrebbe prevedere l’acquisto a punti della stessa. Non cambierebbe di fatto nulla. Tutti gli stranieri a questo punto acquisterebbero un prodotto italiano, e il gioco è fatto. Quando lo straniero interessato raggiunge i 3000 punti, potrà scegliere tra una batteria di pentole, un borsone da viaggio in pelle di coccodrillo, oppure la cittadinanza italiana.

Questo è il modo di pensare degli ottusi dell’integrazione. Di quelli che credono che basta essere nati nel territorio italiano per essere italiani, o aver frequentato qualche anno di scuola elementare per diventarlo. Un modo di pensare che non trova alcuna giustificazione etica e/o morale, e che contrabbanda invece altre ragioni di carattere più pratico che andrò a spiegare nei paragrafi successivi se avrete voglia di leggere.

La verità è invece un’altra: come può un bambino, soggetto all’influenza forte dei propri genitori immigrati, i quali magari non vogliono che si mischi troppo con gli italiani, non li segua nei loro giochi, non guardi la tv italiana e possibilmente non si vesta come gli italiani, sentirsi davvero italiano? Come possiamo noi — italiani — esser certi che poi il bambino si senta davvero tale. Per un bambino del resto essere italiano o essere pakistano che frequenta una scuola italiana non cambia nulla. Egli è pur sempre un bambino e non capirà mai la differenza se non vagamente o perché gliela spiegano. E anche allora non afferrerà le differenze.

Però così non la pensa il capo dello Stato, che in occasione della ridicola iniziativa del Comune di Catizone di concedere la cittadinanza onoraria a 450 ragazzini nati nel predetto comune, afferma:

L’attribuzione della cittadinanza onoraria può rappresentare un prezioso contributo per un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema… L’iniziativa ha … il merito di riconoscere le seconde generazioni come parte integrante della nostra società. È evidente, come ho più volte rilevato, il disagio di tutti quei giovani che, nati o cresciuti nel nostro Paese, rimangono troppo a lungo legalmente ‘stranieri’, nonostante siano, e si sentano, italiani nella loro vita quotidiana…

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Il motivo è solo apparentemente buonista. Il motivo vero — quello che nessuno dice — è che in Italia la crisi economica morde, e la politica del cazzo, anziché risolvere il problema riducendo le tasse e creando infrastrutture, cerca una via più semplice: permettere il facile ingresso nel nostro paese di stranieri attratti dal miraggio della cittadinanza facile per i propri figli. E dunque ottenere così manodopera a basso costo. Già adesso, del resto, gli stranieri costano molto di meno rispetto agli italiani. Figuriamoci se poi arrivassero in massa, attratti dal miraggio di un permesso facile, facendo un figlio nel nostro paese. Diventeremmo la nuova Cina. Dominata dall’alto da un’oligarchia bancario-massonica-finanziaria e popolata nel basso da una babele di stranieri, italiani in un contesto sociale di tipo asiatico: caotico, disordinato e culturalmente incerto.

La cittadinanza italiana è o dovrebbe invece essere espressione del desiderio profondo di essere italiani o — come nel caso degli italiani — al fatto che si è parte integrante della cultura, della lingua e della religione del nostro paese. La cittadinanza dunque dovrebbe essere legata a all’amore incondizionato per questa terra e per questo popolo, al principio del “non avrai altra patria al di fuori dell’Italia”. La lingua e la storia sono un elemento essenziale, ma è anche il sentimento nazionale quello che conta. Come potrebbe mai un bambino sentirsi italiano per il sol fatto che frequenta la scuola italiana e parla italiano? Il sentimento identitario è qualcosa che si acquista con la presa coscienza di sé e del proprio ruolo in una data società.

È pertanto necessario qualcosa di più. È necessaria la consapevolezza e la maturità di un giovane. E allora se proprio vogliamo concedere la cittadinanza allo straniero nato in Italia, l’età minima sono i sedici anni. L’età ottimale, la maggiore età. Ma dare la cittadinanza a un ragazzino di cinque, sei, dieci anni, mi sembra semplicemente un malcelato incentivo all’immigrazione di massa nel nostro paese. Mi sembra uno strumento utile soprattutto ad attrarre nel nostro paese — già povero di risorse e con un costo del lavoro altissimo (per gli italiani) — manodopera a basso costo.

Dico a Napolitano, anziché occuparsi di queste amenità pseudobuoniste, si preoccupi della sorte degli italiani, strozzati dal suo amico Monti. Inizi a risparmiare e faccia come ha fatto Hollande. Si tagli lo stipendio e riduca del 50% le spese del Quirinale, anziché romperci i maroni con la storia della cittadinanza ai figli degli stranieri!

di Martino © 2012 Il Jester 


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