Cento anni fa nasceva Marcel Bich, l’inventore dell’usa e getta. Ideai una mostra su di lui in occasione dell’apertura del castello di Ussel che titolava: La meravigliosa avventura del barone Bich. Meravigliosa avventura fu anche la mia, anche se corredata da numerosi fastidi legati a personaggi meno inventivi. Vi racconto per il piacere vostro e mio di ricordare una parte della mia passata carriera di curatrice.
Quando presentai il progetto all’allora presidente della Giunta, Dino Viérin, lo trovò interessante, ma soprattutto con la mia proposta, vide l’opportunità di ricucire i pessimi rapporti che la Regione aveva con famiglia Bich. Pessimi a causa del castello regalato molti anni addietro e ancora privo di utilizzo. Il presidente smisi di vederlo da subito, i rapporti che tenni con l’amministrazione furono mediati dall’adorabile personcina di Paolo Maccari, allora capo dell’Ufficio stampa della Giunta. Contattai per l’allestimento un architetto e designer di Milano, piuttosto conosciuto: Ugo La Pietra. Il castello era completamente vuoto e privo di corrente elettrica, si trattava quindi di progettare un involucro capace di ospitare le opere e dotato di illuminazione. La Pietra fece un ottimo lavoro. I disegni preparatori li feci di volta in volta esaminare dall’allora Soprintendente Renato Perinetti che diede l’ok.
Iniziamo l’allestimento senza neppure avere uno straccio di delibera, ma La Pietra è abituato ad altre procedure e mi tormenta di telefonate fino a quando minaccia di lasciare perdere. Mi sobbarco con un’impegnativa, la responsabilità delle spese nel caso succedesse qualche imprevisto di carattere politico-amministrativo. In questi casi è necessario saper rischiare se no non si va avanti. Perinetti, che non era in grado di leggere e capire un progetto che lui stesso aveva approvato, si lamenta con Maccari che alcune finestre del castello sono schermate dai pannelli dell’allestimento. Maccari mi convoca, gli spiego, insieme andiamo a controllare e per fortuna mi dà ragione. Tra alti e bassi arriviamo al giorno dell’inaugurazione. Famiglia Bich quasi al completo, amministratori, politici, religiosi e tutti quelli che contano sono raggruppati davanti all’ingresso. Il Presidente fa il suo discorso e non so chi altri, perché io e La Pietra non siamo fra loro. Non apparteniamo al clan pertanto… a togliere l’ultimo pulviscolo di polvere dalle opere esposte. Ugo La Pietra è esterrefatto. Io la metto in ridere. Non si capacita che lui, in quanto curatore e uomo di cultura di un certo spessore, sia stato emarginato dall’inaugurazione. Che neppure venga citato il suo nome. In genere ai curatori viene consentito il ruolo di esplicitare le ragioni del loro lavoro, delle loro scelte e la relativa chiave di lettura. Ma non in Valle d’Aosta dove l’unica cosa che sia mai contata è la fedeltà al capo clan. ( A me è anche capitato, sempre sotto Viérin-Maccari, di essere esclusa dal tavolo dove si presentava un mio libro!). Glielo spiego, ma vedo che la rabbia e la frustrazione saranno per lui fra i ricordi di quel giorno. A me contava che la famiglia Bich fosse soddisfatta. Il primo incontro con la vedova a Parigi era stato freddo e guardingo: non si fidava di una che veniva per conto della Regione. Poi, dopo i primi bozzetti, le cose migliorarono molto e conquistai la sua fiducia e quella della famiglia. Per me fu una grande soddisfazione quando il figlio di Marcel mi disse che avevo perfettamente compreso lo spirito di suo padre: che volevo di più? La mostra costò ai valdostani 150 milioni lire di cui 90 per l’allestimento che fu poi usato per altre esposizioni successive. Il numero dei visitatori arrivò a 12.000 cifra mai raggiunta fino a oggi. Il catalogo curato da Arnaldo Tranti contò altre tre ristampe a spese della ditta, ovvio, portando il nome della Valle d’Aosta in giro per il mondo. E so’ soddisfazioni!