Battaglie epiche, incantesimi, creature fatate e un briciolo di romanticismo: il mito di Camelot è ancora oggi radicato nell’immaginario di grandi e piccini e viene periodicamente riproposto, con i necessari adattamenti e le reinterpretazioni più o meno convincenti.
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Nonostante la bella caratterizzazione, e il buon doppiaggio, la fiction appare
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La presenza dello gnomo Frik peggiora l’atmosfera, perché provvede a pause comiche ricche di ironia e anacronismi… L’interpretazione sarebbe formidabile se la pellicola fosse una parodia, ma il contesto è serio, ci sono momenti drammatici, e gli interventi della creatura si rivelano stonati.
La fiction oscilla tra i toni pacati di uno spettacolo per famiglie, e i temi decisamente adulti che sono alla base del mito: erotismo, riflessioni sul destino umano, sul libero arbitrio, sul valore dell’utopia destinata ad infrangersi contro la limitatezza della natura umana, sul rimpianto per il tempo perduto e l’idealizzazione del passato. Argomenti che la fiction sfiora appena e poi lascia in secondo piano, rivolgendosi ad un pubblico di adolescenti e genitori. Conoscendo le rigide norme della censura americana, c’è poco da sorprendersi, anche se le conseguenze che ne derivano risultano deleterie. Né è possibile, dato il soggetto, eliminare qualsiasi potenziale argomento tabù. Si possono omettere i dettagli più crudi e le rappresentazioni esplicite della violenza, ma le vicissitudini della Tavola Rotonda sono innescate da passioni molto umane, non sempre nobili, e l’utopia del reme perfetto crolla proprio per la debolezza dell’animo dei cavalieri.
I sovrani sono tutti tiranni, i nobili fanno il doppio gioco, Artù è un povero ingenuo. Nonostante gli insegnamenti di Merlino, ripone fiducia in Lancillotto, sposa Ginevra senza quasi conoscerla e la abbandona per anni, e quando scopre le corna si adegua alla legge di Camelot. Pur di non alienarsi la fiducia dei cavalieri, condanna a morte la donna. Le battute da lui pronunciate quando alla fine dell’ultima battaglia viene soccorso da Merlino sono agghiaccianti. Lancillotto non è certo un’anima pia: soccombe al fascino di Ginevra, tradisce il sire, lascia morire la moglie…
Se i personaggi secondari lasciano a desiderare, la trama ha incongruenze e anacronismi di ogni genere. Ovviamente non ci sono datazioni storiche precise, anche se Merlino accenna all’arrivo dei Sassoni, e allo sfiorire della cultura pagana, sostituita dal Cristianesimo. Stavolta tanta vaghezza è apprezzabile, trattandosi di un mito adattato alla sensibilità di una platea eterogenea per età e cultura. E’ oggettivamente arduo rendere il ciclo bretone sullo schermo, e fino ad oggi nessuna trasposizione ha messo d’accordo esigenze commerciali, fedeltà allo spirito originario, divulgazione ed Arte con la A maiuscola. La pretesa di verosimiglianza di Arthur naufraga contro le esigenze di spettacolarità; i dilemmi del Lancelot du Lac di Bresson suscitano riflessioni profonde a scapito del senso di meraviglia; Excalibur non è certo adatto ai più giovani; la Spada nella Roccia fa sorridere gli adulti smaliziati; la recente serie britannica è una produzione indipendente ed è rivolta a un pubblico di appassionati Eliminati i temi più cupi, le atmosfere che si respirano nel film televisivo Merlin sono quelle che si addicono a una bella fiaba.
Il vero punto debole della pellicola è l’abuso degli effetti speciali, esibiti senza parsimonia. E’ vero che il cinema deve mostrare quanto narra; ed è altrettanto vero che una buona sceneggiatura deve operare dei tagli, farsi da parte e lasciare spazio all’immaginazione dello spettatore. Una regola d’oro che dovrebbe valere in ogni genere di film, e ancora più necessaria quando gli effetti speciali sono costosi e poco soddisfacenti. Meglio evitare i soggetti in costume, piuttosto che scadere nel ridicolo involontario oppure rifugiarsi in un minimalismo poco gradito alla platea: forse è questa considerazione di buonsenso ad aver escluso dai palinsesti i titoli fantasy. E’ più semplice preferire l’ambientazione contemporanea, gli eroi della porta accanto, persone comuni alle prese con i problemi d’ogni giorno.… Gli Eroi, quelli con la E maiuscola, vengono messi da parte, considerati parte di un passato distante, oppure rifiutati per principio. Da un lato il culto dell’eroe è abbinato a ideologie di estrema destra; purtroppo dà fastidio anche ai conservatori, perché incarna l’ideale di una persona che sceglie il proprio destino, spesso ribellandosi ai potenti. Mettendo da parte qualsiasi ideologizzazione, è ovvio che per molti anni il vero nemico del cinema di genere è stato l’alto costo degli effetti speciali e dei costumi. Verso la metà degli anni Novanta c’è stato l’avvento della grafica digitale, e qualcosa è cambiato. I prodigi del computer hanno iniziato a ridurre i costi di scenografie ed effetti speciali, sono stati prodotti con successo telefilm quali Hercules e lo spin off Xena. In Merlin c’è tutto l’entusiasmo per la nuova tecnologia, si esagera pur di esibire i mezzi profusi, e il risultato è sempre pacchiano.
Ci sono alcune belle scene, qualche immagine richiama la pittura dei preraffaelliti, l’incipit e l’epilogo sono delicati e poetici. Sembra quasi che il film inizi laddove il computer si fa da parte, quando la scena rimane libera da draghi e pietre parlanti, fatine luccicanti e incantesimi distruttivi. Tra alti e bassi, poesia e cliché sovra abusati, lo spettatore può divertirsi, a patto che non faccia paragoni con Excalibur.
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