Messori e le motivazioni dell'eutanasia

Creato il 28 dicembre 2010 da Andream
Mi è capitato di leggere due articoli di Vittorio Messori sulle motivazioni dell'eutanasia, articoli tratti da La Bussola Quotidiana e intitolati «Duri a morire» e «Il significato del soffrire».
Lo specchio dell'egoismo
Nel primo articolo l'apologeta ricorda come già nel 1982 avesse previsto che l'eutanasia sarebbe diventata legale anche in Italia, seguendo il percorso di divorzio e aborto; di fronte a questa ineluttabilità, Messori afferma che la vera ragione dell'inesorabilità di questo percorso sarebbe «il desiderio di liberarsi di qualcuno o di qualcosa»:
In fondo, il divorzio permette al marito di liberarsi dalla moglie che non sopporta più e viceversa; l’aborto permette di liberarsi del pupo in arrivo e che limiterebbe la mia libertà o graverebbe troppo sulle mie finanze; l’eutanasia mi permette di liberarmi del nonno che non vuole congedarsi e magari liberare la casa. 
A me questo ragionamento pare alieno e aberrante: davvero la maggioranza degli italiani che è a favore dell'eutanasia vuole solo uccidere il proprio padre o il proprio nonno che sta male? Davvero questa ecatombe di anziani genitori è impedita soltanto dall'illegalità dell'eutanasia?
Io non lo credo. Credo, al contrario, che la maggior parte delle persone che, come me, sono favorevoli alla legalizzazione del suicidio assistito pensino che questo dia a loro stessi la possibilità di dettare le condizioni della propria vita, non che sia un modo per gettare via i propri decrepiti genitori. Credo che queste parole di Messori servano a spaventare i suoi lettori, dipingendo i sostenitori dell'eutanasia come mostri egoisti e immorali, pronti al parricidio. Credo, per di più, che questa prospettiva possa convincere solo quelle persone che, esse per prime, sarebbero in grado di metterla in atto. In questo senso, l'accusa di Messori sarebbe una sorta di specchio o di ritratto di Dorian Gray,  in cui l'apologeta ritrova le sue più segrete motivazioni.
Quando trattai per la prima volta questa tematica, ormai quasi un anno fa, lo feci perché quello che mi aveva colpito era stato il senso di dignità e di autodeterminazione di persone che, nel pieno possesso delle proprie facoltà, avevano deciso che la loro vita sarebbe terminata più dignitosamente assumendo un cocktail di farmaci piuttosto che riducendosi a quella che essi ritenevano una condizione inaccettabili a seguito di una malattia.
E' quella l'eutanasia che io sostengo, non la meschina ed egoistica prospettiva presentata da Messori. Chi arriva a desiderare di uccidere il proprio genitore ha problemi di morale a prescindere dal fatto che questo gesto sia legale o meno, ed è più probabile che appartenga alla risma di coloro che pensano sia lecito decidere della vita altrui, come fanno quelli come Messori, piuttosto che alla comunità di quelli che, come me, pensano che una persona abbia il diritto di decidere della propria vita.
La violenza della sofferenza inutile
L'articolo successivo di Messori, invece, tocca un punto più corrispondente alla realtà. Messori dice che, malgrado l'avanzare della medicina moderna, il «travaglio che precede la morte» è «spesso lungo e doloroso»; afferma anche che, per chi non ha fede in una vita dopo la morte, questo travaglio non ha alcun senso e che per questo motivo va abbreviato il più possibile: da qui l'esigenza, per la nostra società, di ammettere l'eutanasia.
Su questo punto sono d'accordo con Messori: la ragione del suicidio assistito è l'impossibilità di vivere una vita dignitosa. Per chi crede che le sofferenze di questa vita siano propedeutiche per una vita successiva, però, questo requisito non viene mai a mancare, dunque chi crede in un divieto divino al suicidio non chiederà mai di essere aiutato a morire.
Di fronte a questa conclusione, Messori parla di trasformazione della sofferenza «da scandalo in mistero» alla luce della «prospettiva cristiana», in quanto la sofferenza di Gesù dimostrerebbe che nella sofferenza c'è «una dimensione misteriosa e in qualche modo preziosa». Di fronte ad affermazioni del genere mi verrebbe da dire che i cristiani, per coerenza, dovrebbero allora rifiutare tutti i preparati medici che riducono il dolore; meno provocatoriamente, mi verrebbe da sottolineare come, allora, è tanto più importante comprendere se questa vita dopo la morte esiste o meno, dato che la fede in essa può chiederci di sopportare dolori e pene altrimenti senza senso.
Ma l'obiezione più importante, almeno per me, è quella che questa visione di Messori porta a galla la vera ragione dell'opposizione dei cristiani (o, almeno, di quelli come Messori) all'eutanasia: non una presunta difesa della vita, non un baluardo contro l'egoismo della società moderna, ma l'imposizione a tutti della loro ideologia. Siccome Messori crede che una certa storia narrata in certi libri sia vera, allora tutti debbono soffrire come sta scritto in quei libri.
Messori e chi la pensa come lui, in altre parole, stanno imponendo a tutti di soffrire inutilmente, perché così dice la loro religione. E questa mi pare una violenza atroce.

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