Nel bosco dei Merry Men è tempo di tema del secondo quadrimestre. Alla quarta ora del martedì, sono tutti ai loro posti e – nonostante abbiano appena ricevuto le pagelle – la loro singolare (e riposante!) sostanziale assenza di dinamiche (che previene, di solito, qualunque lamentela sotto traccia) li rende (passabilmente) attenti e concentrati.
Scrivono di Galileo Galilei, in varie forme, macinando penna e inchiostro sul primo dei sei scritti che la ‘povna propina loro ogni mezz’anno. E – poiché a forza di fogli protocollo (ché, dalla seconda, come numero, son già arrivati a trenta) si stanno abituando a leggere, riflettere, e poi scrivere – per una volta il loro acufene permanente ne risulta silenziato. Earnest, Orlando e il Panda sono fuori, nella postazione breakout fai-da-te che loro usano da sempre, affidati alle cure della bidella Ornella (la custode del liceo dirimpettaio, che, abituata alla monotonia un po’ annoiata delle bimbe, ha preso i rudi uomini del bosco sotto la sua sua ala protettrice, amandoli tantissimo – per i compiti, per esempio, regala sempre loro un lecca-lecca). In classe Weber e la Pesciolina sono assenti, malaticci; Cirillo Skizzo si è imposto di riuscire a prendere una prima, sognata sufficienza; Mr Mao si affanna sul vocabolario italiano-cinese, a tradurre “metodo scientifico”; Rebecca domanda poco, e accuratamente, affinando i suoi notevoli progressi in analisi del testo; Soldino è vicino alla cattedra, pronto come sempre a buttare intelligenza e cuore oltre l’ostacolo; e tutti gli altri seguono, di buona lena. La ‘povna ne approfitta per riguardare alcuni fogli.
Il momento è perfetto, quando la calma viene interrotta dal vocione di Piccolo Giovanni:
“Prof., ma lei ha mai pensato a scrivere di noi? Verrebbe un libro bellissimo!”.
La ‘povna solleva gli occhi, è presa alla sprovvista, ridacchia:
“Chi ti dice che non lo abbia già fatto?”
“Se ci risponde così, è quasi un’ammissione di colpa” – il giovane spudorato si diverte.
“E che c’è di nuovo?” – interviene Rebecca – “e poi una volta ce le fece pure leggere”.
“Via, giù. Se è così, prof., ci si metta di impegno, lo finisca, anche se…” – pausa di consapevolezza – “per scrivere tutto di noi, effettivamente, le ci vuole una vita”. Non si perde d’animo, e prosegue: “Però, pensi che bello. Poi lo pubblica, e noi si viene tutti con lei alla presentazione, anche se saremo zoppi e vecchi”.
La ‘povna, a quel punto, non regge più:
“Ma se voi sarete vecchi, Piccolo Giovanni, tesoro, io sarò morta”.
“Via, prof., che cosa brutta, non ci scherzi”.
“Io non scherzo, ma è oggettivo, ho più del doppio dei tuoi anni…”.
Lui sta zitto, rimugina, si arrende all’inevitabilità del tempo.
“Va bene, ha ragione, prof. E allora si dia una mossa. Le tocca di finirlo prima!”.
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