Cielo grigio, nuvole azzurre, quasi sera.
Casa vuota, silenziosa.
Attesa.
Ice e Lalolle sono partite stamattina verso mezzogiorno trascinando un trolley così colmo che neppure si chiudeva. Hanno fatto una breve colazione, niente di pesante: la taglia xs vale bene qualche sacrificio; gli occhi grandi i capelli lunghi, la borsa in nuances con le scarpe, il passo svelto di chi ha davanti la vita, e sono andate sbattendo la porta dopo averti baciata distratte.
Sul terrazzo le surfinie stanno appassendo e l’edera scende rigogliosa lungo il pilastro. Comprerai qualche viola del pensiero e le metterai nei vasi dei cipressi: forse per tutto l’inverno sopravviveranno e dalla finestra del soggiorno li guarderai. Il cuore allora si aprirà e vi sarà più spazio per qualche nuovo amore, per qualche progetto che ancora non immagini. Chiudendo le tapparelle lasci fuori i tetti rossi delle case di fronte, il giardino trascurato dai vicini, i gatti che passeggiano senza cadere sulla ringhiera dirimpetto; chiudi fuori anche la sera senza stelle che è stasera.
C’è la gatta che dorme sul divano: sei a casa, non ha bisogno di seguirti e controllare se vai o se vieni, fa le fusa a brevi sprazzi, sbadiglia e si stira: è questa la sua fetta di felicità. Si avvicina il tuo compleanno ma vuoi soltanto ricordi, un lavoro nuovo, il ritorno a casa tutte le sere, una piccola casa piena e non questa così grande così vuota. Vuoi pantofole di velluto e un caminetto per l’inverno, il plaid rosso l’hai comprato l’anno scorso: lo rimetterai sul divano anche per questo inverno. Alla televisione non c’è niente che ti vada, ma cerchi un canale con la musica per riempire almeno un poco queste stanze. Un ritmo una voce una canzone possono bastare.
Solo poche righe riesci a scrivere, queste poche righe: nella libreria si affastellano fogli e cartelline, ritagli di giornali, riviste e appunti: occorre fare spazio per l’inverno, che le idee abbiano la loro giusta collocazione. Luca si è presentato stamattina e ti ha detto di chiamarlo Andrea, ti ha raccontato un altro pezzo della sua storia – la scriverai domani – ma tutti gli altri personaggi che ti fanno compagnia sono evanescenti, non ti hanno ancora detta intera la loro verità. La vicina di casa ha una voce, una sequela quasi impazzita di parole ma è senza nome senza casa senza corpo, mentre la padrona del negozio ha corpo e senso, parole e volto. Lei tra poco nascerà.
Forse se butti tutta la cartaccia, gli schemi di storie che neppure più ricordi, anche gli altri personaggi ti diranno e scriverai. E’ poi venuta Giulia, stamattina: non sapevi che si aggirasse nella casa una ragazza dai tratti indefiniti, tutti da rivelare persino a te che di certo la portavi già da tempo nella testa; cammina con le scarpe da ginnastica un po’ sporche e consumate, si liscia le mani contro i jeans, ti guarda con i suoi occhi neri e tace: la sua storia ancora non conosci, forse svanirà in un istante così come è venuta, o forse si fermerà a raccontare.
Cielo nero, ormai, nuvole scure, notte fonda.
Casa vuota, silenziosa.
Meglio andare a dormire.
Cose piccole
Nel novero delle cose piccole
metterei la piantina che ho comprato al mercato.
Estati che valgono una vita e torte di compleanno tonde
come la solitudine.Nel novero dei minimi particolari
ci sono la foglia che è spuntata ieri e il momento in cui
dalle mie mani e dal forno elettrico
lievitarono un profumo di mollica e la crosta del pane.
Le radici rinnegate, gli orchestrali piumati
che danno la sveglia al mattino
e aumentano via via che cresce la quercia.
Poi l’albero delle albicocche, quando a giugno
si macchia di frutta e non sai perché.
La consolante disperazione, non l’indifferenza.
L’alfabeto del dolore, imparato con lezioni private memorabili.Nel novero delle cose piccole
c’è questa vita di assolo, allegretti, foglie che si aprono sempre,
farina che resuscita senza miracolo, e polvere era.
Segni scompaginati dal vento.
Però con un senso del ritmo e forse anche del metro.
Paola Malavasi
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