Credit: NASA/Duberstein
Il nostro Sole invia costantemente nello spazio un flusso di particelle cariche.
Il vento solare fluisce attraverso il Sistema Solare ad una velocità di oltre 400 chilometri al secondo e quando incontra dei campi magnetici, come quelli dei pianeti, viene deviato secondo una sorta di confine, chiamato "arco d'urto" (bow shock) che, tuttavia, non è necessariamente uniforme.
A volte la situazione è così turbolenta tanto da fare concorrenza ai dinamici modelli metereologici terrestri.
Già osservata sulla Terra, Venere, Marte e Saturno, ora gli scienziati l'hanno avvistata per la prima volta anche su Mercurio, grazie ai dati della sonda della NASA MESSENGER: è un curioso evento di meteorologia spaziale, un'inversione locale del flusso di particelle dl vento solare, noto come anomalia di flusso caldo (hot flow anomalie HFA).
Le HFA sono causate dalla discontinuità del vento solare, il flusso di particelle cariche che arriva dall'alta atmosfera del nostro Sole. A volte, queste discontinuità, settori in cui i campi magnetici del vento cambiano direzione bruscamente e improvvisamente, si allineano con il flusso del vento, rimanendo in contatto nel punto dove il vento solare rallenta e devia attorno ad un pianeta o un altro corpo di grandi dimensioni.
Qui, se tutto avviene molto lentamente, la discontinuità riesce ad intrappolare molte particelle solari, una raccolta di plasma super caldo che può espandersi fino alle dimensioni di un pianeta (HFA).
Sulla Terra, queste eruzioni di plasma caldo sono eventi dinamici che possono comprimere la magnetosfera, la bolla magnetica che protegge e circonda il nostro pianeta, causando un agitazione delle particelle lungo le linee di campo, che, a volte, inondano l'atmosfera terrestre alle alte latitudini generando le aurore. Non si verificano oltre la magnetosfera e quando rilasciano energia, lo fanno verso l'esterno, spingendo il vento solare di nuovo verso il Sole.
Mercurio non è un pianeta molto grande ma possiede un campo magnetico dipolare globale, a differenza di Venere e Marte che hanno solo deboli campi magnetici locali.
La presenza di anomalie di flusso caldo su pianeti così diversi dimostra che il fenomeno può crearsi indipendentemente dalle caratteristiche dei loro campi magnetici.
I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Geophysical Research: Space Physics a febbraio 2014:
Active current sheets and candidate hot flow anomalies upstream of Mercury's bow shock [abstract]
Hot flow anomalies (HFAs) represent a subset of solar wind discontinuities interacting with collisionless bow shocks.
They are typically formed when the normal component of the motional (convective) electric field points toward the embedded current sheet on at least one of its sides.
The core region of an HFA contains hot and highly deflected ion flows and rather low and turbulent magnetic field. In this paper, we report observations of possible HFA-like events at Mercury identified over a course of two planetary years. Using data from the orbital phase of the MESSENGER mission, we identify a representative ensemble of active current sheets magnetically connected to Mercury's bow shock.
We show that some of these events exhibit magnetic and particle signatures of HFAs similar to those observed at other planets, and present their key physical characteristics.
Our analysis suggests that Mercury's bow shock does not only mediate the flow of supersonic solar wind plasma but also provides conditions for local particle acceleration and heating as predicted by previous numerical simulations.
Together with earlier observations of HFA activity at Earth, Venus, Mars, and Saturn, our results confirm that hot flow anomalies could be a common property of planetary bow shocks and show that the characteristic size of these events is controlled by the bow shock standoff distance and/or local solar wind conditions.
Ora, MESSENGER sta iniziando l'ultima fase della sua missione estesa: una serie di manovre aumenteranno la sua quota minima sopra a Mercurio in modo di ritardare l'inevitabile l'impatto sulla superficie del pianeta, per consentire agli scienziati di raccogliere dati ancora per qualche tempo.
La nuova orbita poterà la sonda ad altitudini inferiori ai 50 chilometri: verranno acquisite immagini alle risoluzioni più alte mai ottenute, con dettagli topografici e geologici senza precedenti e misurazioni dettagliate sulla gravità e i campi magnetici del pianeta.