Magazine Diario personale
La morte, dopotutto, è un evento biologico, bisogna stare attenti a non sacralizzarla troppo col rischio di seppellire col cadavere anche le possibili critiche. Altrimenti da morti siamo tutti beati e santi e non esisterebbero i libri di storia.Poi però, voglio precisare il “dove” e il “quando”. L’atto del pisciare su una tomba non mi scandalizza in sé; è un gesto sicuramente irriguardoso nei confronti del defunto, ma uno che piscia su una tomba lo fa proprio per manifestare disprezzo. Liberissimo di farlo e argomentarlo.Penso di interpretare bene la frase di kisciotto, essendo riferita al funerale di Lucio Dalla: non è la tomba il luogo della pisciata incriminata, ma la bara in processione, sul sagrato.E durante una commemorazione funebre, una pisciata va oltre il disprezzo, diventa cattivo gusto.Pisciare offese, seppur argomentate, su un cadavere ancora caldo è fatto sgradevole.I morti non scappano, e si può criticarli anche a cerimonia terminata, una volta sepolti, andando comodamente a rinfrescare la memoria, innaffiandola.Quindi avrei da obiettare il quando, e di conseguenza il dove.In altri luoghi non mi importa il come, pur che emerga il cosa.
Ho letto anche il post di Metilparaben, che fa una lapidaria ed efficace considerazione sul differente atteggiamento adottato dalla Chiesa nei confronti di Piergiorgio Welby (funerale cattolico negato perché suicida) e nei confronti di Dalla (funerale cattolico nonostante omosessuale).A queste letture si è aggiunta quella del post di lillina, delicato, aperto, che mette in guardia dalle lapidazioni, che ricorda anche l’anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini.Vi invito a leggerli tutti e tre.Butto lì qualche altra considerazione e perplessità con punti di domanda.
Il rispetto penso occorra sempre, il rispetto per l’altro come persona, perché è nella persona, con un nome, un cognome, un’esperienza, che si formano opinioni e pensieri.Penso si debba provare sempre a mettersi nei panni degli altri.Conta l’artista soltanto se dietro ce l’uomo? Secondo me sì. Ma io non sono Lucio Dalla, non lo sono perché non ho espresso le sue sensibilità artistiche; spesso i sensibili sono anche fragili, meno arroganti o aggressivi. Non è un male o un bene: è un modo di essere.
E non sono nemmeno Aldo Busi, prima ancora che per strati intellettuali, per un disarmante accidente delle circostanze, ovvero una donna che cantava una canzone di Dalla a un bambino quando lo metteva a nanna.Io non ho motivo di aggredire Lucio, mentre Aldo ha la propria esperienza di vita per rinfacciargli alcuni comportamenti.
Per me, come detto sopra, la morte è un accadimento, può essere dramma umano, ma privo di sacralità. Ma io sono anche uno che entra in una chiesa soltanto per ammirarne l’architettura. E il mio pensiero non può stare in una bara con le stesse sensazioni di chi si fa il segno della croce. L’eziologia della cassa da morto, della tomba, del cadavere, non è la stessa per tutti. Ognuno ha la propria. Lo dice la vita, non una regola scritta.
Busi sovraccarica di istanze il già pesante feretro di Lucio Dalla, magari disturbando le lacrime del compagno del cantautore scomparso?Può darsi, ma ognuno è nei propri panni.Io mi sforzo di stare nei miei pensieri, e penso che i pensieri siano un abito che tanto ti calza bene quanto più ti sforzi di comprendere le misure di quelli degli altri, misure d’abito e anche di bara, quando raccoglie il consuntivo di un'intera esistenza.Stando ben attenti a non prendere il vizio di tenersi addosso i panni altrui, magari più sfarzosi dei propri. Nemmeno il vizio di fare il verso ad abiti e costumi degli altri, senza prima rimirare allo specchio i propri.E se c'è mancanza di pulizia, ognuno si preoccupi dei propri panni sporchi. Che macchie da lavare se ne trovano sempre.
Mentre rifletto sulla possibile sgradevolezza del testo di Aldo Busi, sull’efficacia di cronaca giornalistica sempre precisa e originale di Alessandro Capriccioli, sul richiamo di lillina a stemperare frastuoni sgradevoli, io mi ritrovo nei miei panni.E non so se sia tagliato su misura o meno l’articolo di Aldo Busi. Penso sarebbe stato meglio indossarlo tra qualche giorno; ma ognuno fa i conti col guardaroba delle proprie vicende formative, anche del carattere.L'astio andrebbe trattenuto durante le esequie, tanto più che Dalla, fino a prova contraria, non era un criminale. Ognuno (Busi) ha il diritto e il dovere di combattere le proprie battaglie, di dire ciò che pensa, di pisciare dove vuole (magari autocensurandosi il “quando vuole”), ma senza tacciare di diserzione chi non si è mai arruolato nel suo esercito.Lucio Dalla non era un criminale, e di solito il lancio di uova marce si dovrebbe riservare alle bare dei delinquenti. Senza inutili pietismi. A chiunque invece, pure ai cadaveri, si possono e devono muovere critiche. Se tornano utili ai vivi. Senza inutili pietismi. Perché anche nella tomba ci andiamo vestiti dei nostri abiti.Se non ci stavano bene addosso da vivi, ci stanno male addosso anche da morti.Ma io non sono omosessuale e non sto negli abiti di Aldo Busi, probabilmente amareggiato all’idea che un artista affermato come Dalla avrebbe potuto o dovuto fare di più, esporsi di più, per la causa gay.
Io cerco di immaginarmi nei panni degli altri, aiuta a comprendere e dialogare, ma alla fine sto nei miei pantaloni. A me, più dello sfogo di Busi, provoca un senso di sgradevolezza la frase pronunciata da monsignor Giovanni Silvagni, vicario generale dell’arcidiocesi di Bologna: “Non è stata la celebrazione di un funerale omosessuale, ma il funerale di un uomo”.
Ma è soltanto perché a me sta sul culo (in senso simbolico, meglio chiarirlo, che in mezzo a tutti ‘sti finocchi bisogna muoversi schiena al muro) chiunque usi le parole per ingannare la gente.Mi stanno sul culo gli ipocriti, mi stanno sul culo quei preti che negano i panni del morto nella bara, pur di salvare il proprio guardaroba, troppo lussuoso e ricco, per non stonare con la griffe “Jesus Poor Christ, in verità vi dico, in verità”.
È soltanto perché io, nei miei panni, reputo che la Chiesa, seguendo la sua logica assurda, abbia fatto bene a negare i funerali a Welby, come ha fatto male a concederli a Dalla. Perché se la Chiesa si mostra con i veri abiti che indossa, gli omosessuali li vuole tuttora all’inferno. Ed è giusto che ognuno si mostri per gli abiti che indossa, gli unici con i quali ci si dovrebbe mostrare, e parlare. Senza mascherate di sofismi retorici.E in questo, ad esempio, sono d’accordo con un passaggio di Aldo Busi in questo suo articolo sui gay, i quali non dovrebbero ricercare affatto di essere accolti – e magari perdonati (?!?!) – da Santa Madre Chiesa.Ma lo dico soltanto perché sto bene nei miei panni, che sono abiti nei quali si ha l’abitudine di rispettare i costumi e i pensieri altrui, e non potrei farlo se prima di tutto non portassi rispetto ai miei pensieri, alle mie parole.
È perché se anche voi foste nei miei panni non potreste fare a meno di fare battutacce come quella mia sui finocchi. Perché nei miei panni ci sto io, che sono fatto così.E io trovo assurdo discriminare un’eccitazione o un’emozione soltanto perché non è espressione della maggioranza di governo di sentimento e di trombamento. Talmente assurdo che non do soddisfazione a chicchessia di inibirmi la battutaccia.E ho messo quei tre post, perché, se foste stati nei miei panni, l’avreste fatto pure voi. Perché, nei miei panni, questi tre ho letto. Non altri, questi tre.Nei vostri panni magari ne avrei letti altri. E avrei altri pensieri.Diversamente vestiti.E perché se questo post l’avessi scritto ieri, o domani, sarebbe stato diverso.Perché anche il mio umore fa parte dei miei panni.Che sfilano, insieme ai vostri, sulla passerella del confronto critico.
K.
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