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Mettiamo in discussione l'urbanistica pianificata

Creato il 10 febbraio 2014 da Bernardrieux @pierrebarilli1

METTIAMO IN DISCUSSIONE L'URBANISTICA PIANIFICATAIl momento per cambiare passo,  lasciando il passato alle spalle e avviarci verso la Fidenza che verrà,   è adesso.   E qui il confronto di idee e progetti diventa necessario.
Oggi ospitiamo  questo (lungo) intervento dell'Arch. Claudio Bertolazzi.                    Buona lettura:
Sarà la difficoltà di esercitare in questo paese - non volendo far parte della casta - la professione di urbanista, o la noia di seguire disposizioni incomprensibili, imprevedibilmente mutevoli (o inventate, al momento, dall'apparato, se non dal singolo burocrate) che mi è sembrato fosse giunto il momento di aprire, con pochi amici ben preparati, una discussione critica sull’urbanistica
dopo oltre un lustro di pressoché assoluto silenzio. In realtà gli incentivi a discutere sono molti e forti: forse è cambiata l'aria, oppure (ma è meno probabile) la ricerca della Verità è diventata più forte degli interessi che la relegavano in conventicole chiuse, con pochi e fidati Sacerdoti celebranti. Ma la necessità di un dibattito nasce proprio rimettendo in discussione l'urbanistica pianificata, un insieme di burocratismi che finisce per pianificare le nostre vite, come ultimo strumento di controllo di esse da parte dello stato.
La fonte culturale dell’urbanistica neoclassica, illuminista, pretendendo di poter conoscere l’intera realtà, ha sempre dato vita a pure superstizioni della ragione come il tanto noto quanto sopravvalutato motto della Bauhaus "dal cucchiaio alla città” (che sarebbe come dire che progettare una bacchetta con una concavità in fondo equivale a comprendere, e quindi a riprodurre e riprogettare, organismi dinamici complessi come le città fatti di azioni, rapporti, interrelazioni e mutamenti umani tanto veloci quanto imprevedibili, oggi quanto mai evidenti). Questo attutisce forse l’errore ideologico, ma non ne giustifica la sua assunzione acritica  (e la mancanza di umiltà che ne deriva).Di fatto occorreva verificare gli esiti (ma l’utopia illuminista della “città perfetta” non lo consentiva, proprio perché, nel Regno delle Idee, già perfetta), per notare che nei Piani generali la forbice  tra obiettivi dichiarati e raggiunti non superava mai il 15-20%. Il resto si otteneva e tuttora si ottiene  tramite  miriadi di varianti e accordi di dubbia legittimità. Piano e obiettivi dello stesso  però ,nel frattempo, spariscono.Non vorrei però limitarmi ad affermare che la pianificazione neoclassica era errata  per passare ad un altro sistema, quale quello implicito nel “liberismo attivo”, senza accennare alle cause del disastro - la cui portata non è ancora del tutto visibile - almeno per cercare di evitarle in futuro:
1) “Ascientificità del metodo di rilevamento dei fabbisogni”: normalmente, tutti i piani generali sono stati finora costruiti sulla base di rilevazioni  statistiche dei fabbisogni. Risultato? Era sufficiente che nei Comuni adiacenti venisse edificato un attrattore di media grandezza (da agricolo a centro direzionale, ipermercati, ecc.) per scombinare tutte le previsioni di piano e mantenere suoli deserti, o renderli attivi tramite varianti lunghe, costose e tanto inutili quanto prevedibili: il problema poteva essere risolto adottando un sistema di regole - e non certo con un piano impositivo - che seguisse la realtà, anziché imporla (e qui si comincia ad introdurre il tema della “prevalenza del diritto” o “Rule of law”, che costituisce un’evoluzione del comunque auspicabile concetto dello “Stato di diritto”).
2) “Acriticità dell’approccio”: l’urbanistica si è spesso autodefinita, immotivatamente, come disciplina scientifica, come la matematica imperitura ed immodificabile, capace di costruire modelli astratti perfetti, ma non in grado di tenere nella debita considerazione i limiti umani né le enormi capacità non razionali di autoorganizzazione delle società in quanto semplicemente incomprensibili. Oggi si può affermare che se nessuno di noi è in grado di pianificare la propria imprevedibile e tutt’altro che perfetta vita per qualche giorno, nessun Demiurgo lo potrà, per tutta la popolazione di una città, per 10 anni.
3) ”Modalità obsoleta nell’approccio ai problemi”: come nel classico assioma ”Maggiore il dettaglio negli strumenti urbanistici, maggiore la probabilità di conseguire gli obiettivi”: Errato. Il dettaglio non tiene conto dei movimenti di una società viva e in realtà l’ostacola. Il suo obiettivo è il cimitero, dove il calcolo dei fabbisogni è pressochè perfetto e i mutamenti nulli. Inoltre offre un indubbio vantaggio: gli utenti non si lamentano. In questo senso vanno oggi i Piani di sistema e  territoriali a cascata. (il Piano Provinciale di Bologna giunge al divieto di immettere fauna non autoctona nei parchi - circa l’80% del territorio - e di rimuovere le carogne degli animali). L’uomo diventa un nemico, e non il soggetto primario del “Piano della felicità”.
4) ”Inversione di campo”: i Piani di sistema, che sono leggi e come tali dovrebbero esprimersi, tendono oggi più alla letteratura d’effetto. La L.R. 20/2000 dell’Emilia Romagna usa, ad esempio, un’articolato con espressioni del tipo: “…i piani non devono superare le soglie di sostenibilità ambientale…” o “…occorre ridurre la pressione degli insediamenti attraverso la mitigazione degli impatti per promuovere il miglioramento architettonico ed ambientale..”.Suonano bene ma sono incerte, quindi, semplicemente, non sono norme: quanto sono alte le “soglie”? E a quanti Joule deve resistere un “impatto ambientale”? Ecco che ritorna la necessità della “Prevalenza del diritto”, qui usato e banalizzato come strumento (chi comanda è il “Piano-romanzo d’autore” , mentre chi dovrebbe dare alla società certezze e neutralità è il Diritto ed il suo linguaggio, neutrale verso chiunque e quindi naturalmente democratico).
5) “Eccesso di discrezionalità e sperequazione tra i cittadini”: La pianificazione tradizionale attribuisce ai cittadini indici (e quindi ricchezza) in modo discrezionale, arricchendone alcuni ed impoverendone altri senza compenso, con la motivazione della prevalenza dell’”interesse pubblico”. L’interesse pubblico spesso è dubbio, ma la mancanza di pari trattamento – cioè di democrazia ed uguaglianza - tra cittadini, è certa.
Non è quindi solo di uso dei suoli o di regole urbanistiche che si deve parlare, ma di modifiche istituzionali per consentire il libero scambio dove è oggi imitato da ideologie nostalgiche: ossia discutere sul ruolo dello Stato, e sulla quantità di interesse pubblico che questo debba gestire.Nello stato liberale pubblico/privato e Stato/mercato non si contrappongono ma collaborano e nessuno ha la prevalenza, regolati dal Diritto. Ciò in quanto lo Stato non ha l’esclusività della tutela dell’interesse pubblico, che, come si è visto, non riesce a gestire, ma tale tutela è delegata alle certezze ugualitarie del Diritto stesso: quindi dire “Prevalenza del Diritto” e non dello Stato burocratico monopolistico  costituisce di per sè un’affermazione   rivoluzionaria.Diventa quindi legittimo affermare che solo tramite norme statali di cornice (cioè di limite, in grado quindi di limitare anche loro stesse) il libero mercato, ovvero l’unica forma di amministrazione che consenta una gestione degli usi del suolo dinamica, può coordinarsi, anche consentendo e regolando comunità autonome ed autoorganizzate e che proteggano il mercato da chi lo distrugge (Trust, monopoli,ecc.).
Visti i risultati di un illuminismo che dimostra nei fatti quanto miope sia la ragione sui processi complessi, tentiamo un’altra strada, reipotizziamo la capacità di autoregolazione spontanea della società e riorganizziamola in un insieme di leggi (di mercato) che ne consentano  tempi brevi per le modifiche, sviluppo, creatività, soddisfazione. Le regole cornice (non quadro) devono seguire, modificandosi periodicamente dopo aver verificato gli esiti (cosa, come già detto, non necessaria nella “città ideale” dei filosofi; a Bologna  gli Assessori all’urbanistica e alla mobilità sono filosofi e sia l’una che l’altra sono in un caos insolubile), i movimenti sociali, imprevedibili e mutevoli, in modo da contenerli in limiti  e non guidarli a priori, pretendendo di conoscere tutte le possibili interrelazioni sociali 8-9 anni prima che avvengano. La frase “governare il cambiamento” è una disastrosa illusione e, apparentemente, una follia autodistruttiva.
Le nostre capacità di conoscere le azioni umane è modesto, e ancora meno lo è quella del loro sviluppo nel futuro. Semplificando, le regole devono cambiare il meno possibile per avere la “Prevalenza del Diritto”, che fornisca una cornice  entro cui i singoli perseguano liberamente i propri obiettivi e senza alcuno scopo sociale; è neutro ma crea le condizioni perché le diverse interazioni sociali si possano avverare spontaneamente senza ostacolarsi. La teoria etica del Diritto- che rappresenta il contrario dello Stato etico -  ritiene che le regole pubbliche debbano salvaguardare i diritti di tutti (senza prevalenza dello Stato), garantendo il quadro delle relazioni e non i loro esiti. Il liberalismo “attivo” è un programma di rinascita civica e morale, che si pone in netto contrasto con il concetto di diritto come strumento di volontà precostituite, che ne ha svilito il ruolo e condotto l'intera società al declino dell’etica della responsabilità.
Per limitarsi a questo tutt’altro che ristretto ambito (ma è chiaro che il gioco è ormai a tutto campo), oggi si può affermare, senza che questo venga considerata un’eresia, che la pianificazione tradizionale non è salvabile né riformabile (niente ”snellimenti” delle norme esistenti o scriteriati innesti  sull’impianto normativo in vigore di “nuovi” metodi come la cosiddetta “perequazione” che genera nuova sperequazione o, peggio, di “nuovi” strumenti, copiati male dall' urbanistica europea, come i Piani di dettaglio a più livelli). Buttato il bambino, rimane solo l’acqua sporca.
Arch. Claudio Bertolazzihttp://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane

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