Antonio Di Gioia
Terzo volume della serie, nell'anno del decennale, curato e compilato dal duo MGMT e se non è il migliore del lotto, poco ci manca.
Pescano a piene mani dalle loro radici post-punk Andrew VanWyngarden e Ben Goldwasser, con dosi abbondanti di psichedelia e mantenendo comunque un profilo sempre oscuro, tenendosi a debita distanza dall'indie-pop elettronico per il quale sono maggiormente noti.
Partono da posizioni distese, affidate a Disco Inferno, lasciando che la selezione cominci a decollare con il terzo brano grazie alla tensione dei Suicide di "Cheree" (che riprendono il discorso con il solo Martin Rev in chiusura di raccolta con "Sparks") e prosegua sulle note del miglior 'velluto' rock di sempre (vedi "Ocean"), con il Julian Cope lunare di "Laughing Boy" ad introdurre uno delle eccellenze riconosciute della Manchester che fu, Vini Reilly, ossia The Durutti Column, disegnando non solo una rallentata sequenza di rara bellezza ma concretizzando un'intuizione di notevole pregio artistico e uno dei passaggi memorabili della scaletta.
La cover esclusiva di "All We Ever Wanted Was Everything" dei Bauhaus ad opera degli stessi MGMT, pur non discostandosi troppo dalla versione originale, resta comunque un altro dei brani toccanti del disco, che si segnala per calore e sostanza.
The Wake, storica formazione britannica del giro Factory in cui militò anche un giovane Bobby Gillespie, prepara il finale e con "Melancholy Man" appare un raggio di sole tra le nubi che si diradano.
Un ultimo gioiello lo riserva Pauline Anna Strom con "Morning Splendor", artista che avrebbe meritato miglior sorte.
Un viaggio epico e avvincente, dunque, che vale la pena compiere e che riesce a districarsi tra i brani meno noti di alcune band influenti fino all'epilogo affidato alla seconda parte del racconto "Lost For Word" di Paul Morley.