Tutto è rimasto come intorpidito, rallentato. Dai gesti, fiacchi, ai pensieri che si affollano come all’ingresso strozzato di un imbuto, senza trovare un accordo per uscire. Le immagini scorrono invece veloci, senza che se ne possa comprendere quale sia il primo fotogramma e quale, l’ultimo, almeno per adesso. Una sbornia asciutta si direbbe.
Leggere le notizie oggi non è divertente. Non perché siano o debbano essere migliori. Solo che nessuna è una novità e questo perpetuarsi dell’indicibilmente imbecille umana condizione mi annichilisce. Una condizione che non vede cenno alcuno di quel misterioso senso di equa umanità che in un immenso sforzo qualcuno, non so più chi oramai, ebbe l’ardire di definir buon senso.
Non importa più cosa, quanto e come sia successo. Ciò che successo. Perché verrebbe quasi da domandarsi, qualcosa è successo? Dove? Succedere è successo ma era così perfetta la copia di cose già viste che quasi nauseati abbiamo cambiato il canale, quello dei pensieri. Dove è successo?, ma dappertutto, che domande. E’ uno spettacolo sincronizzato questo per il quale l’antica scuola greca ha dato il meglio di sé coadiuvata egregiamente devo dire in questo percorso culturale dalla comunità tutta, quella europea beninteso. Ciascuno a perfezione ha svolto il suo ruolo secondo le indicazioni che aveva impartito la regia. Quale non si sa. Sono fiorite le ipotesi più bizzarre adesso che il prologo, perché di tale si tratta, si è concluso e si può iniziare a comprendere quale sia la tradizione letteraria, il tocco artistico o ancora la scuola che ha ispirato chi tira le fila della narrazione. Ma, contrariamente a quanto gli autori più augusti ci hanno da sempre insegnato, ovvero che il colpevole va tenuto il più possibile celato affinché la tensione, quella che una volta si chiama pathos ed oggi getto d’adrenalina, resti costante fino all’ultimo frame, l’abbiamo invece scoperto subito, colpa di una tenda che bruscamente alzatasi dal vento ha mostrato un coglione (per la cui genesi intellettuale vi rimando qui) che le scarpette con il pon pon hanno decretato essere un euzone e, pertanto, un greco. Non El Greco, ma Un greco, un popolo, il popolo greco. Troppa fretta forse.Da un lato il sollievo è stato non poco perché per dirla tutta invero i pretendenti erano molti. Ve ne è stato anche chi tra di essi oggi stesso ha ricevuto un piccolo premio di consolazione per esser stato defraudato della parte (leggi questo link). Tuttavia il sollievo è immediato, quel senso che t’avvolge come una peristalsi, per naturale improvvisazione; quella sensazione per la quale ricominci a sollevare gli occhi e a dire: “ .. e vvvvvaaiiiii! …pur’a ‘sto ggiro è annata ..”.
In realtà la lotta era impari. Come si dice “non c’è stata storia”. Partita prendendo immediate lunghezze di vantaggio la Grecia ha iniziato a calare assi su assi su assi come se avesse un mazzo (di carte) tutto suo particolare (quello che gli hanno fatto forse), un mazzo che inoltre aveva ben due jolly, subito calati, anch’essi. É un paese questo legato alle tradizioni che difficilmente dimentica, quando vuole, i propri eroi. Ed ecco che, per non ripetersi visto che oramai era andata buca con la storia di Pericle e compagni, trovandosi a corto di personaggi e di jolly pure (chissà mai perché!?), sono andati a spolverar sugli scaffali, quelli più recenti, per dare una lustrata a due pezzi da novanta. Eccoti allora che riappaiono, riesumati quasi, per certo da quella pensione che in ogni paese è sinonimo di riposo e qui invece non più, due miracolati fatti arrivare tra mille peripezie, passando in mezzo alla battaglia, a mezzanotte, dentro al Parlamento, testimoni indignati visto che i loro sforzi nel far diventar grande ‘sto paese, tutti in fumo erano andati: Manolis Glezos, 89 anni, leggendario partigiano che staccò la bandiera nazista dall'Acropoli nel 1941 dando inizio alla resistenza e Mikis Theodorakis, 87, grande compositore qui in Grecia, all’estero quasi esclusivamente conosciuto (maldestramente perché ha composto delle musiche veramente molto belle) per il sirtaki di “Zorba il greco” che se fosse stato ballato da uno sconosciuto invece che da Anthony Quinn, non so come sarebbe andata. Ma d’altro non c’era e non che ciò fosse poco. Ma si sono serviti anche di loro, rievocando il primo la lotta sacrosanta contro il tedesco invasore, lotta che viene qui ripresa con eccessiva leggerezza, sempre per la regola de “il colpevole siete voi”, riesumando addirittura i non pagati danni di guerra, ecc. ecc. Coperta troppo corta anche questa per ripararsi. Theodorakis non potendo certo accennare a passi di una danza che tra l’altro è un inno alla comunione con la propria terra o, se ballata con una donna, una sorta di ballo di seduzione, si è limitato ad affermare, pare, ma è possibile, che si stava assistendo alla “… morte della Grecia. Ma abbiamo sconfitto i nazisti, abbiamo sconfitto la dittature, sconfiggeremo anche questo..”. Chi sia il “questo” citato con enfasi non è dato di saperlo. E poi la guerriglia. Nel più puro stile piazzaiolo, la stessa degli anni 70, la stessa delle rivolte di qualsiasi popolo che inizi ad averne, a torto o a ragione, piene le scatole, di esasperazione. Come sempre. Come sempre con i soliti infiltrati sui quali far cadere, laddove il paravento anarchico non fosse sufficiente, la responsabilità dei danni provocandi. E siccome qui il popolo è per natura stanco, ha lasciato tutto n mano (compreso qualche applauso forse di troppo ben visto in televisione) in mano ai black-bloc che all’insegna del “prima della miseria preferisco la rivolta” (così urlava più di una persona palesando il sanguigno temperamento che peraltro contraddistingue l’ateniese di tutti i giorni), si è ben dato da fare con i risultati sbriciolati ed incendiati che abbiamo tutti visto. Con tanto di furti nei negozi, ecc. ecc. Ma queste cos sono decenni che le vediamo e tutte le volte gridiamo al pubblico scandalo. Stavolta, strano in verità per questo paese, ce n’è stato anche per la polizia che fino pochi giorni fa era vista come il fumo negli occhi e stavolta come inadeguata a gestire la situazione … non è facile contentarsi nemmeno qui. In particolare quello stesso popolo che ha saputo fino ad oggi, qui come in tanti paesi non lontani, ingozzarsi di tutto il benessere possibile, e anche di più, riempiendone i cassonetti tanto che le discariche sono discariche di benessere come ci raccontano dalle favelas di tante capitali e come qui ci iniziano a raccontare anche troppi concittadini. Peccato che siano state rinviate le premiazioni e non si sa chi abbia vinto qui quest’anno la medaglia per la televisione più grande ma ne ho viste di vendute in formato condominio, portate a casa con la gru, così come chi sia arrivato primo nella corsa ai telefonini, ai tablet e a tutto quanto di elettronicamente inutile vi sia … insomma una storia tutta europea che tutti conosciamo. Ma si sa il popolo è bue, da sempre e non gli si può, quando la nave affonda, attribuire la colpa, tutta almeno. Brancaleone docet. Ma il popolo bue lo si può “mazziare”. Dal proprio governo di imbecilli incapaci e da quella parte di Europa che ieri ha inteso lavarsi la coscienza, dimenticare per un attimo l’intima imbecillità personale per dedicarsi con un moto di sollievo a quella altrui.Ma la notte porta consiglio a tutte le latitudini. L’Europa in parte si ravvede e se anche sotto sotto gode perché le borse sono in rialzo e tutti gli economisti, compresi quelli sulla rete che sono un numero spaventoso - non avrei mai creduto! E poi si dice la fuga di cervelli!! Eccoli dov’erano! - , plaudono alla morte (la hanno chiamata sforzo ed impegno) votata in parlamento (perché tale è per adesso, solo una dichiarazione di intenti, non lo dimenticate), dall’altra, decide di non restituire un minimo di dignità al decedendo, ma semplicemente di infierire sull'ormai definito cadavere ed allora, con grossolana idiozia, tramite le televisioni ed i giornali, riunisce un poco di cittadini volenterosi davanti alle macerie della guerriglia notturna facendo loro gridare allo sdegno ed all’inciviltà dei pochi. Tutto falso. Ancora una volta. Forse un 5% di questo paese sta piangendo per quanto distrutto. Forse. Certo piange il sindaco di Atene perché non gli daranno mai i soldi per rimettere tutto a posto, certo qualche sprovveduto commerciante (ma non credo ne siano rimasti ultimamente) che non aveva rinnovato la polizza assicurativa. Ma la Grecia non piange i 50 edifici danneggiati. Non gliene frega niente. Ora. Ha ben altro per la testa, questi sono bruscolini, anche se a onor del vero, quel fuocherello alla biblioteca universitaria mi ha fatto più di altri ribollire il sangue, ha fatto rivoltare i morti del ’73 anche se poi, per fortuna non ha causato danni irreparabili.
E l’Europa non può adesso compatire la risorta sensibilità architettonica di un popolo che per prima cosa ha altro a cui pensare e, seconda di poi, delle architetture dell’800 (come quella del cinema bruciato) e del 900 non gliene è mai importato niente. Venite ad Atene, quartiere Kastella. Uno splendido quartiere arroccato su una collinetta, subito prima del porto del Pireo. Parte integrante della città ma, nel contempo, una piccola Positano in stile liberty e decò. Con stradine piccole e tortuose che si aggrappano su una piccola collina, costellata di ville, villette e castellotti di quel periodo: tutti in rovina, mai nemmeno guardati dall’amministrazione che, almeno quando erano pieni di soldi tanto da rifar mezza città per le olimpiadi, avrebbe dovuto tenerli come tanti piccoli “Topkapi” a testimonianza di una capitale che agli inizi del secolo era, come tutte o quasi, uno splendore. Tutto in rovina e cade a pezzi. Altro che senso artistico. Così negli altri quartieri dove si preferisce l’immobile nuovo a cifre da capogiro che non investire in meravigliose villette inizi novecento di cui è piena l’immensa periferia. Perché al greco piace la roba nuova, di antichità ne ha pieno suolo e sottosuolo, tanto che gli fa fatica conservare pure quello. E non guardate per le stradette della “Plaka”, turisticamente agghindata come una puttana in cerca di clienti.E allora non inveiamo più. Statevene zitti. Tutti. Me compreso. Eviteremo di dire idiozie ulteriori. Tanto la Grecia, non contenta, ci pensa da sé a distruggersi. Ad aprile le elezioni. Di chi? Domando io. Ci sono altri imbecilli a giro? No. Non credo. Ancora più tragico. Ma qui anche se non andranno a votare (ed al momento non saranno pochi, così chi già è eletto con una manciatina di favori - che tanto si trova sempre il sistema di fare perché, ora più che mai la disperazione non manca - avrà vita ancor più facile perpetuando il nepotismo di italica memoria) e sarà festa grande. Si torna all’isoletta natìa per il voto (non si vota nel comune di residenza) e tutto sarà una festa, unita a quella della pasqua, anche se ortodossa. Un poco meno festa sarà per i partiti che quest’anno grazie all’assennatezza della Unione Europea avranno 385 milioni di euro in meno da spendere per le loro “spese elettorali” (serve un aiutino in questo senso anche lungo lo stivale?). E quindi festa, tanto da lavorare non ce n’é.
Tuttavia qui si gode adesso di un vantaggio. Enorme. Immenso. Un vantaggio che deve spaventare tutti, comprese le borse e le banche. Qui si è quasi toccato il fondo. Se si esclude (in verità con qualche dubbio), l’arrivo di una qualche forma di dittatura, non c’è quasi più niente da spremere. E qualsiasi legge, statistica ed economica, ci dice che una volta raggiunto il fondo o si sparisce o non resta altra via che la risalita. Cosa che chi ha oggi fatto la voce grossa sta cercando di impedire caricando il mulo greco di un peso insopportabile ma che, il nuovo governo forse, se disgraziatamente (non certo per questo paese) di qualche faccia nuova vorrà arricchirsi, magari dell’attuale opposizione, non avendo siglato alcun patto con nessuna troia (non c’è errore, è scritto giusto, nell’accezione un po’ da grand guignol del termine di colei che tutto e tutti prende, onnivora di carne, restituendo - come i soldi di oggi - il piacere gelido ed effimero di un attimo oltre al successivo disprezzo per se stessi), potrebbe, anche per una questione d’amor proprio, tanto per far vedere che fa qualcosa, mandare tutti al gas, insomma, economicamente sposarsi qualcun altro. E perché no? Vedreste il giubilo del popolo, quello cornuto e bue, quello che oggi è zimbello, con cui quella parte di Europa maiuscolamente cieca e imbecille si diverte, quel popolo a cui non importa nulla, in nessun paese del mondo, se non trovare i magazzini pieni e i soldi per comprare. Tanto non si domanderà mai se li ha guadagnati o meno, se gli sono dovuti, se se li è meritati. Cercherà solo forsennatamente in tempi d’elezione, a chi vendere la propria preferenza in nome non di uno spirito etico, non di una sostenibilità sociale, quanto di un maggior benessere personale, statene certi. Solo che la ricerca qui comincia a farsi dura. Le fregature abbondano e non poco. D’altronde dicono tra le valli là dalle mie parti “senza lilleri un si lallera”. E finché sarà così, che potrà mai cambiare? Mi sento un imbecille, oggi. Normalmente lo sono ma non me ne accorgo. Saranno le troppe letture di vati e onniscenti profeti. Sono un poco in overdose di sentenze tanto da sentirmi disgustato per come velocemente siamo capaci di trovare chi sacrificare sull’altare della nostra coscienza. Seguirò il consiglio di un’amica di tastiera e me ne andrò a inseguire un sogno.