Mia Martini con Enrico De Angelis
Chi poteva immaginare che ci fosse ancora da aggiungere qualcosa a canzoni assolute come La donna cannone, Come together, Proud Mary dei Creedence Clearwater Revival o certi primi pezzi di Pino Daniele; o altri capolavori meno celebri ma già perfezionati dai loro autori, tipo It’s money that I love di Randy Newman e La costruzione di un amoredi Ivano Fossati?Mia Martini ci riesce. La sua è una grande voce internazionale che si riappropria di questa materia incandescente e la riplasma in fogge ulteriori, rimanendo elegantemente femminile anche nel pieno del rock.
Questo per dire dei ‘classici’. Ma Mia Martini è forse ancora più stupefacente quando, al contrario, maneggia autori ‘medi’ o poco più (tutti i Baldan Bembo, i Maurizio Fabrizio, i Califano, i Pintucci, i Maurizio Piccoli che ha usato nella prima parte della sua storia) e improvvisamente li rende credibili, ne innalza il livello. Sul palco Mia Martini si presenta come una ‘piccola donna’ in grigio, esile, colloquiale, affettuosa, apparentemente modesta e persino dimessa, in realtà padrona della scena, improvvisamente sfrontata come una bambina. Si muove danzando mani e braccia, un rosso sorriso spicca maliziosamente nel grigio, è principessa e cenerentola insieme. Canta spesso a occhi bassi, come cercando la concentrazione molto al di dentro di sé, magari poi aprendo il canto ma senza estroversione, passionale più che drammatica. Passa da note basse, roche, sporche, imbronciate, a vette estreme sottili e vibranti; da una voce stanca e lontana al tono prorompente e vitale di un inno d’amore, a un registro strozzato che comprende anche tutti gli altri.
E’, lo possiamo dire?, una nostra Edith Piaf di fine secolo. Lo è nella voce, nella statura, nei gesti, nelle mani tremanti portate ai capelli, nell’ergersi sulla punta dei piedi, nell’abbigliamento scuro, nell’ardore e nell’assolutezza, e anche in tutta quella sequela di grandi autori che canta, quei ‘compagni di viaggio’ che cita lungo il cammino: tanti, troppi uomini e autentici talenti per quella gonna lunga e chiusa in fondo: per quella figura monastica interrotta dall’unica civetteria del rossetto, intorno a cui persino i vapori della pop music diventano incenso: per quella piccola solitudine che nemmeno tutti quei musicisti sembrano poter lenire.
La voce di Mia sonda in profondità, aggiungendo quel pizzico di turbamento, quello slancio inquieto che accrescono la canzone al di là della struttura….
Enrico De Angelis per L’Arena di Verona