Il romanzo ha decisamente un sapore picaresco. Non è uno di quei libri le cui avventure riesco a prendere sul serio, così come alcuni giorni fa scrivevo di non riuscire a prendere davvero sul serio De bello alieno di Davide Del Popolo Riolo, ma con entrambi i libri mi sono divertita e va bene così. È un’avventura frizzante, con la sorpresa sempre dietro l’angolo e quel gusto da far west in cui i protagonisti alla fine si dirigono verso il sole al tramonto per il semplice fatto che è ancora possibile galoppare in quella direzione e lasciarsi sorprendere da quel che si troverà. Chabon ha spiegato che a lui divertiva l’idea di poter narrare di ebrei con le spade, io mi sono divertita e basta, e i protagonisti non sono solo ebrei. Scritto in un modo molto più serio, poetico e maestoso, struggente e capace di tenere con il fiato in sospeso, anche The Lions of Al-Rassan ha per protagonisti tre personaggi appartenenti a religioni diverse, ma gli esiti delle due storie non potrebbero essere più lontani. Invece non potevo fare a meno di rivedere in queste pagine Jacques il fatalista e il suo padrone di Denis Diderot, se non avete ancora letto quel libro fatevi un favore e leggetelo.
Va bene, ho divagato abbastanza. Vi lascio alla mia recensione.
Zelikman e Amram, diversi come il giorno e la notte, come il colore della pelle o la fede in dei che pur riconoscendo uno stesso patriarca vedono solo errori nelle convinzioni dell’altro, hanno però in comune il fascino per l’avventura, la capacità di accettare quel che il cammino propone loro senza crearsi problemi inutili, e soprattutto una solida amicizia capace di resistere a ogni ostacolo. A loro si unisce, seppur riluttante, il giovane Filaq, nobile orfano in cerca di vendetta e terzo vertice di un triangolo solido nonostante la sua improbabilità.
Una volta formato il gruppo i personaggi si muovono da un problema all’altro con rapidità, a volte inavvertitamente, senza alcun piano che non sia il risolvere i problemi man mano che si presentano. L’unico che sembra guidato da qualcosa di più solido del puro istinto di sopravvivenza e che ha ancora qualcosa da chiedere al mondo è il meno dotato dei tre dell’abilità di arrangiarsi con quello che ha a disposizione: Filaq. Come dire che quel che tiene una persona legata al mondo è anche quel che la rende vulnerabile.
In una storia dal ritmo scorrevole e dalla scrittura fluida, in cui le cose non rimangono mai a lungo allo stesso modo, pian piano emerge anche qualche retroscena della vita dei protagonisti. Quanto basta per far capire che hanno un passato, non tanto da far pensare che il passato potrebbe tornare a far sentire la sua importanza. Come ha scritto oltre 300 anni fa Denis Diderot inJacques il fatalista e il suo padrone, “Come si erano incontrati? Per caso, come tutti. Come si chiamavano? E che ve ne importa? Da dove venivano? Dal luogo più vicino. Dove andavano? Si sa dove si va?”.
Chabon rispetta in pieno questo spirito, racconta un’avventura nella quale i personaggi non si tirano indietro di fronte a nulla e sono pronti ad andare avanti senza sosta continuando a vivere le loro vite con la stessa irriverenza con cui affrontano ogni difficoltà e ignorando ogni convenzione. Un romanzo brioso, divertente, con diversi momenti concitati alternati a sporadiche riflessioni e attraversato soprattutto dal piacere di una storia in cui ogni istante viene vissuto in tutta la sua intensità, con la consapevolezza che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo ma che, se così non fosse, ci saranno sempre nuovi luoghi da visitare.