“Business is business”. Spesso questa frase viene citata per ricordare che, quando ci sono soldi di mezzo, non si dovrebbe guardare in faccia a nessuno, tanto meno alla propria coscienza. Michael J. Sandel, filosofo, economista e professore di filosofia politica ad Harvard, già dal solo titolo del suo What Money Can’t Buy – The Moral Limits of Market (Allen Lane – Penguin, 2012) commette ciò che tra gli economisti e i tecnici della finanza è considerato un atto di blasfemia: permettere a valutazioni etiche di interferire con valutazioni di ordine commerciale.
Un dogma liberale, “business is business”, entrato nell’ultimo trentennio a far parte del nostro vocabolario come consueta percezione del vivere sociale. Con WMCB, Sandel ci accompagna nel raccapricciante viaggio alla scoperta di come la nostra società, quella occidentale che si impone come modello globale, dal “having a market economy” sia naufragata senza accorgersene in “being a market society”. Un gioco di parole particolarmente efficace in inglese, dove i verbi avere ed essere demarcano una differenza sostanziale: utilizzare determinati strumenti economici per migliorare alcuni aspetti del proprio vivere, o immedesimarsi nel loro utilizzo tanto da – de facto – essere da essi utilizzati.
Michael Sandel è diventato celebre per il suo corso universitario Justice, una serie di lezioni di filosofia del diritto e morale civica che hanno fatto il giro del mondo trasmesse online gratuitamente nel sito di Harvard e su Youtube (quattro milioni di visualizzazioni), divenute soggetto di serie TV in Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, Svezia, Brasile, Medio Oriente e Cina (dove nel 2012 Sandel è stato proclamato “Il più influente pensatore straniero dell’anno”), e riunite in un best-seller internazionale tradotto in diciotto lingue (in Italia Giustizia – Feltrinelli, 2010). Dal suo lavoro successivo non ci si poteva aspettare che lo stesso impatto e il medesimo acume critico. Uno e semplice l’assioma di Sandel, proveniente dritto dall’ABC della semiotica, materia che per gli economisti potrebbe rasentare lo status di occultismo: i Mercati non sono meccanismi neutri che lasciano inviolati i beni di cui trattano; essi lasciano il segno e, introducendo i loro meccanismi in sfere del vivere comune regolate da principi non-commerciali (morali), le corrompono.
Sandel parte con esempi spiccioli, già prassi in molti stati degli USA: è lecito permettere a un condannato per reati minori di pagare per avere una cella migliore? Per soli 82$ lo potete fare, nel carcere di Santa Ana, California (si potrebbe valutare di trasferirsi nella soleggiata West-Coast, non si sa mai…); stressati dal traffico dell’ora di punta? A Minneapolis soli 8$ all’ora vi permetteranno di guidare nelle corsie preferenziali per taxi, ambulanze e bus; sarebbe lecito regolare l’immigrazione negli USA vendendo il diritto (la Green Card) a chi offre di più tra gli emigranti? Sarebbe lecito permettere a un’industria di comprare delle quote di immissione di CO2 nell’atmosfera? Permettere l’iscrizione di studenti a un’università prestigiosa non in base al merito, ma in base alla capacità delle famiglie di contribuire in donazioni all’istituto? Schedare bambini in adozione secondo criteri di “gradimento” e darli al genitore disposto a pagare di più per averli? O incentivare con 300$ donne sieropositive con problemi di droga a farsi sterilizzare?
Lecito o non lecito, nessuna obiezione può essere tecnicamente mossa da un punto di vista legale né economico, perché se le due parti sono consenzienti ogni contratto è valido (e perciò, per un economista, anche lecito). Nessuna, se non mettendo in gioco la morale. Quel senso di disagio nel cuore che ci porta a dire che forse permettere al mercato di introdurre una logica di scambio regolata dal denaro in scuole e carceri ne eroderebbe l’essenza di strutture appartenenti alla comunità e regolate da norme etiche paritarie: il diritto all’istruzione imparziale e il rispetto della legge; e trattare il diritto di procreazione di una donna, la vita di un orfano o il diritto di immigrazione come comodità che possono essere vendute o comprate per denaro, svilirebbe il rapporto dell’essere umano con il proprio corpo, l’essenza dell’adozione e dell’infanzia, il valore della vita in sé.
Molti altri gli esempi che Sandel argomenta, il più raccapricciante forse quello del viaggio nel mondo delle assicurazioni, in primis quelle sulla vita, divenute un mercato da milioni di dollari che ha dato vita a sotto-mercati di vera e propria compravendita di “quote-morte” che il Congresso ha cercato di bloccare e che Wall Street, con l’appoggio di UBS, Goldman Sachs e altre banche, ha ben pensato di regolamentare facendole diventare veri e propri bond acquistabili sul mercato azionario internazionale.
Ciò che Sandel tira in ballo fa venire la pelle d’oca mano a mano che ci si inoltra nella lettura. Forse uno però, tra tanti, l’esempio più carico di valore simbolico, lasciato in sordina dallo stesso autore ma capace di far rabbrividire un lettore onnivoro dai riferimenti ampi: quello degli eserciti mercenari pagati in segreto dagli stati nazionali per condurre guerre in zone a rischio. E la mente vola a un particolare passo di Bradbury, di Fahrenheit 571, quando l’intera popolazione di una nazione viene spazzata via da un attacco nucleare mentre, ignara di tutto, se ne sta inebetita seduta di fronte alla televisione interattiva. Estraniare la guerra dal dominio pubblico come una responsabilità dei cittadini di una nazione, sarebbe un rischio non certo per deliri di patriottismo, ma perché si precluderebbe il maturare nelle persone del rifiuto della sua intrinseca atrocità, della valutazione critica delle sue conseguenze, del perché essa non sia da considerarsi una via percorribile per la risoluzione dei conflitti.Letteratura distopica, quella di Bradbury. Ma il libro di Sandel, seppur un saggio sobrio e di un’ironia leggera e illuminata, trasuda distopia a ogni pagina. Una distopia reale, qui, ora, in un mondo dove i cartelloni pubblicitari iniziano a comparire anche nei sentieri naturalistici dei parchi; dove madri si tatuano loghi di aziende sulla propria fronte in cambio dei soldi necessari per l’istruzione dei figli; in cui la scuola pubblica si inabissa e per resistere ai tagli insegna programmi di educazione ambientale finanziati da compagnie petrolifere.
All’uscita della crisi finanziaria più significativa della storia, l’implodere del dogma liberista del mercato che tutto può si pensava risvegliasse le coscienze. Ma l’indignazione immediatamente successiva al tracollo si è concentrata più sull’alone generale di avidità della finanza, che sulle cause strutturali del declino, sulle sue implicazioni più sottili. I mercati lasciano un segno, e Sandel ci dimostra che una volta che un principio etico, una norma civica, è “corrotta” dalle meccaniche di mercato, la sua percezione è compromessa definitivamente. Difficile tornare indietro. La domanda “Is anything sacred anymore?” è più valida che mai, ma c’è da temere la risposta.
Forse i poveri Maya non avevano sbagliato del tutto. Negli ultimi due decenni del ventesimo secolo e nel primo del ventunesimo, l’economia di mercato e il suo degenerare hanno cambiato radicalmente chi noi siamo e come ci relazioniamo al vivere. L’apocalisse la stiamo vivendo.
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